E' il titolo dell'ultima opera di Leo Strauss pubblicata in italiano, uscita postuma nel 1975 per la Chicago University Press. La prefazione all'edizione italiana è di Carlo Altini che giustamente la definisce una sorta di testamento spirituale, uscito dallo studio intensissimo di Strauss sui classici greci a partire dagli sessanta. Nella prefazione di Altini - da leggere, per sintesi e intensità - si coglie come quest'opera sia importante per comprendere il nucleo della riflessione di Leo Strauss: il rapporto tra filosofia e politica.
A me sembra importante qui riportare l'introduzione di Strauss al testo, prefazione preceduta da una citazione da Avicenna, per la precisione da Sulla divisione delle scienze razionali. Scrive Avicenna (e cita Strauss):
"L'analisi della profezia e della legge divina è contenuta [...] nelle Leggi"
L'introduzione di Strauss non è molto lunga. Buona lettura.
"Nell'ordine tradizionale dei dialoghi platonici, le Leggi sono precedute dal Minosse, l'unico dialogo in cui Socrate pone la questione "che cos'è la legge?". Risulta evidente che non tutte le leggi sono buone, o, per lo meno, ugualmente buone. Le leggi cretesi furono stabilite da Minosse, che non era soltanto un figlio di Zeus, ma il solo eroe educato da Zeus; da Omero e da Esiodo, nessuno fu mai celebrato con così tanto onore come Minosse. Per questo motivo, siamo portati a credere che le leggi cretesi, e successivamente le leggi spartane, siano le leggi migliori. Certo, dagli Ateniesi, Minosse era considerato un barbaro e un uomo ingiusto, ma per la sola ragione che aveva condotto una guerra vittoriosa contro Atene. Il miglior legislatore fu un nemico di Atene. Il più antico e saggio legislatore fu il più antico nemico di Atene. La ricerca delle leggi migliori sembra costringere gli Ateniesi a guardare oltre le leggi di Atene e a diventare i seguaci di un nemico di Atene - ad agire in un modo che può sembrare non patriottico.
Le Leggi sono l'opera più politica di Platone. Si potrebbe perfino dire che siano la sua opera politica, perché in essa il personaggio principale, lo straniero ateniese, elabora un codice per una città che deve essere fondata, cioè si impegna in un'attività eminentemente politica. Nella Repubblica Socrate fonda una città solo "nel discorso", cioè non "nei fatti"; di conseguenza la Repubblica non presenta effettivamente il miglior ordine politico, ma piuttosto porta alla luce le limitazioni, i limiti e, quindi, la natura della politica. (Cicerone, Repubblica, II, 52). Il carattere politica enfaticamente rimarcato delle Leggi potrebbe spiegare perché quest'opera è l'unico dialogo platonico in cui non compare Socrate, proprio perché a Socrate era stato proibito dal suo daimon di impegnarsi nell'attività politica (Apologia di Socrate, 31c3-32a3). L'assenza di Socrate dalle Leggi non si spiega, così, semplicemente per il fatto che il dialogo ha luogo da qualche parte sull'isola di Creta.
Quando Aristotele nella Politica discute le Leggi, dà per scontato che colui che parla nell'opera sia lo stesso che nella Repubblica: Socrate. Aristotele, dunque, non vedeva differenze tra lo straniero ateniese e Socrate. Il Critone di Platone può aiutarci a comprendere questo problema. Critone ha cercato di persuadere Socrate a fuggire furtivamente dalla prigione e a salvarsi così la vita. Per rifiutare il proposito di Critone, Socrate usa come argomentazione ausiliaria la considerazione secondo la quale, se lasciasse Atene, egli dovrebbe andare o in una delle città ben governate vicino ad Atene, dove sarebbe ricoperto di disonore per la sua fuga illegale, o in Tessalonia, che è del tutto priva di leggi. Socrate non prende in considerazione cosa potrebbe accadergli se andasse in una città ben governata e lontana come Sparta, o come l'ancor più remota Creta; tutto ciò, malgrado egli avesse accennato brevemente ad entrambe poco prima (Critone, 53b4-6 e d2-4, 52e5-6). Questo fatto ci induce a credere che se Socrate fosse fuggito dalla prigione, egli sarebbe potuto andare a Creta, dove era del tutto sconosciuto e dove sarebbe stato considerato semplicemente come uno straniero ateniese. Ma a causa di varie circostanze, fra le quali la sua veneranda età aveva un ruolo non insignificante, gli era in realtà impossibile dare seguito al consiglio di Critone. Platone, tuttavia, non era vincolato a ciò che è puramente possibile, o a ciò che lo è in maniera condizionata. Basta far riferimento al Menesseno, nel quale Socrate recita un'orazione funebre in onore dei soldati caduti - un discorso che fu presumibilmente elaborato da Aspasia e che celebra le grandi gesta compiute dagli Ateniesi fino a circa vent'anni dopo la morte di Socrate. Platone ha inventato con molta disinvoltura le vicende riguardanti non solo Socrate, ma anche altri.
L'unico dialogo platonico, oltre alle Leggi che è ambientato fuori di Atene è il Fedro. il tema specifico del Fedro. Il tema specifico del Fedro si può dire che sia la scrittura. E scritte sono le leggi proposte nelle Leggi.
Le Leggi si aprono con la parola "dio"; non esiste alcun altro dialogo platonico che inizi in questo modo. Le Leggi sono l'opera più pia di Platone. Esiste solo un altro dialogo platonico in cui l'ultima parola è "dio": l'Apologia di Socrate. Nell'Apologia di Socrate, Socrate si difende dall'accusa di empietà, di non credere negli dei nei quali crede la città. Nelle Leggi lo straniero ateniese delinea una legge contro l'empietà che sarebbe stata molto più favorevole a Socrate rispetto alla corrispondente legge ateniese."
A parer mio, a giudicare anche solo da questa introduzione, il libro merita più di una riflessione.
29 novembre 2006
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