Mentre Gerusalemme si prepara a ospitare la manifestazione di domani, faccio un giro per il web e decido che vale la pena di rinfrescare la memoria intorno ad alcuni piccoli particolari. Le righe che seguono sono tratte tutte dal sito squilibrio.net
In Iran le donne omosessuali sono costrette a vite intollerabili. Devono sposarsi spesso giovanissime sotto una costante pressione familiare e sono poi accusate di venire meno agli obblighi coniugali. Secondo la legge islamica, questo costituisce un valido motivo per il marito per chiedere (e ottenere) il divorzio. Una donna divorziata è ulteriormente oppressa ed isolata all’interno della società. Non essendo più vergine, è tenuta sotto stretto controllo della famiglia, che le impedisce spesso la frequentazione di altre persone. Spesso viene picchiata o maltrattata per sottolineare il suo fallimento come donna nella costitutizione di una nuova famiglia.
I media iraniani presentano incessantemente al pubblico i gay come pedofili o stupratori. In alcuni casi si presenta addirittura l’AIDS come una giusta punizione per coloro che hanno vissuto una vita nel peccato, una dimensione che viene spesso internalizzata dagli omosessuali stessi. Si tratta di una riproduzione nel XXI secolo della costruzione del legame tra omosessualità e devianza mentale e/o sociale come era stata fatta in occidente.
Nel 1991 l’Iran ha introdotto nel proprio codice penale le seguenti pene nei riguardi dell’omossessualità. La sodomia è un crimine. Entrambi i partners vengono puniti. Se sono entrambi adulti, essi vengono condannati a morte. Se non sono ancora adulti la punizione è ‘limitata’ a 74 frustate (artt. 108-113). La sodomia è comprovata se una persona confessa quattro volte di aver commesso questo ‘crimine’, o se esiste una testimonianza di quattro uomini. La testimonianza di una donna unica non costituisce prova di sodomia (art. 114). Lo sfregamento di parti genitali tra partners dello stesso sesso non è punita con la morte ma con 100 frustate, fino alla terza volta. Alla quarta occasione viene applicata la pena di morte (artt. 121 e 122). Se due uomini “stanno in piedi nudi senza coprirsi senza necessità” sono pentrambi puniti con 99 frustate, mentre “baci lussuriosi” tra persone dello stesso sesso sono puniti con 60 frustate (artt. 123 e 124).
Le donne sono punite con 100 frustate per rapporti omosessuali. Come nel caso dell’omosessualità maschile, alla quarta volta entra in gioco la pena di morte.
In Arabia Saudita l’omosessualità è un crimine punito con la massima pena, cioè la pena di morte.
Negli Emirati Arabi Uniti (EAU) la sodomia è punibile con la reclusione fino a 14 anni (art. 8 del Codice penale Abu Zhabi). I rapporti sessuali tra uomini sono inoltre puniti con 10 anni di reclusione dall’art. 177 del codice penale di Dubai. La maggior parte degli abitanti degli EAU sono Sunniti della scuola malichita, secondo la cui interpretazione la sodomia è considerata una zina, cioè una colpa da estinguere piuttosto che da punire. Secondo quest’ottica sia l’uomo sposato che quello non-sposato devono venire messi a morte per lapidazione. Gli EAU limitano fortemente la possibilità di accedere alle telecomunicazioni ed è quindi internet a venire bloccata. L’accesso al sito della Gay-Lesbian Arab Society (www.glas.org), una risorsa importante per la comunità gay in Medio Oriente, è infatti proibito.
Esiste una politica precisa di espulsione dei lavoratori stranieri che abbiano contratto e sviluppato la malattia nella sua forma conclamata o che siano risultati positivi al test dell’HIV. Nel febbraio 1998 gli EAU hanno cominciato a mettere in pratica questo tipo di politica, deportando quei lavoratori stranieri che provenivano dall’India, dal Pakistan, dalla Tailandia e da vari paesi africani. Solo nel 1998 più di 6000 lavoratori stranieri sono stati espulsi perchè malati.
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