30 maggio 2008

Descartes - seconda parte

E arriva a Breda, Olanda. E li conosce Isaak Beeckman. Sappiamo quasi tutto del rapporto tra i due, perché Beekman teneva un diario dettagliatissimo della sua vita e delle sue ricerche (ritrovato solo nel 1905). Allora, Cartesio è in giro per Breda, indossa un cappello verde molto ricercato sui lunghi capelli ondulati, una divisa e ha una spada d'argento al fianco. Cammina molto impettito, anche perchè - diciamolo - non è poi una stanga. Tutt'altro. I due guardano, insieme ad altri, uno strano manifesto scritto in fiammingo, e Cartesio attacca discorso chiedendo a Beeckman cosa c'è scritto. L'olandese gli spiega che è un problema matematico e se ne chiede la soluzione.
Non era un metodo strano, tutt'altro. Fin dal secolo prima anche in Italia si usava fare la stessa cosa; i matematici si sfidavano a vicenda alla dimostrazione dei teoremi più svariati. Comunque sia Beeckman traduce in latino per Cartesio e - quasi certamente per sfotterlo, visto che sul diario scrive che non credeva affatto che quel soldatino potesse trovare la soluzione - gli dice: "Posso presumere che mi darai la soluzione, una volta che avrai risolto il problema?"
Cartesio non fa una piega, gli chiede l'indirizzo e se ne va.
Beeckman stava a Breda, anche se era di Middelburg, perchè sperava di diventare vicedirettore della scuola latina di Utrecht, aveva studiato medicina e matematica e in attesa della carriera scolastica dava una mano allo zio ad allevare maiali.
La mattina dopo Cartesio si presenta a casa dello zio con la soluzione del problema. Quale problema fosse non è dato sapere, riguardava degli angoli e Cartesio aveva abilmente concluso che in quel problema non esistevano angoli. Pare una fesseria ma è un'argomentazione che alla fin fine Cartesio usa spesso. I cartesiani sostengono che parla "per assurdo". I cartesiani.

Intanto Maurizio di Nassau non va in guerra, e Cartesio resta nell'esercito. Come ufficiale volontario fa un po' quello che gli pare, e quindi ne approfitta: qualche donna, qualche festa, e lo sfizio di imparare il fiammingo, così da poter leggere da solo i manifesti per le strade. Che allora il fiammingo era una lingua utilissima da conoscere, quasi come oggi. Ah, dipinge anche. Aver brillantemente risolto il problema geometrico che non conosciamo lo riempie di entusiasmo; adesso a letto tutte le mattine non fa altro che leggere e scrivere di matematica e geometria, e studia anche le opere di combinatoria di Lullo. Che poi in questo non è che sia molto originale; gratta gratta dietro ogni filosofo-matematico-pensatore-ecc...tra cinquecento e seicento c'è Lullo.

Intanto il principe di Nassau non combatte, e Cartesio, che si era arruolato solo per assistere alle battaglie (non partecipare) un po' si incazza pure. E' arrivato da Parigi per vedere un po' di mossa e invece gli tocca stare a letto a leggere, come se fosse in una delle sue case di campagna. Intanto è morto Rodolfo II, e qualche casino dalle parti della Germania può scoppiare; visto che dall'Olanda nessuno si muove Cartesio si congeda e parte da solo, con l'idea di arruolarsi da quelle parti. Va a Copenaghen, poi in Polonia, prosegue per l'Ungheria e arriva a Francoforte in tempo per vedere l'incoronazione di Ferdinando II d'Asburgo. Mentre succede di tutto - comincia la Guerra dei Trent'anni per dire - Cartesio fa il turista, molto tranquillo, e si dirige in Boemia per vedere i combattimenti tra l'impero e l'esercito boemo e alla fine decide di arruolarsi, sempre alle solite condizioni - niente partecipazione ai combattimenti, il suo valletto resta con lui, e molto tempo libero - nell'esercito di Massimiliano, duca di Baviera.

A me sta cosa di uno che vaga per mezza Europa alla ricerca di un esercito in cui arruolarsi per non combattere nel bel mezzo di un conflitto che durerà trent'anni mi sembra semplicemente geniale.

L'esercito passa l'inverno sulle rive del Danubio, ed è lo stesso Cartesio che ci racconta, nel Discorso sul metodo:

"Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guerre che colà ancora si combattono. Ritornando all'esercito dopo aver assistito all'incoronazione dell'imperatore, fui costretto dall'inverno incipiente ad acquartierarmi in una località dove, non essendo disturbato da alcuna conversazione e non essendo turbato, per fortuna, né da preoccupazioni né da passioni, trascorrevo tutto il giorno da solo chiuso in una stanza ben riscaldata da una stufa, dove avevo tutto l'agio di trattenermi con i miei pensieri".

E la notte tra il 10 e l'11 di novembre del 1619 Cartesio fa i tre sogni che lo portano alla conquista del successo perchè gli indicano, secondo l'analisi che ne fa lui stesso, la via per la nuova filosofia. Interessante notare che quella sera è la vigilia di San Martino, e tutti erano in festa e palesemente sbronzi. Tranne Cartesio, che quella sera non beve - anzi! non beve vino da tre mesi. (segue)

29 maggio 2008

Descartes - prima parte

Per continuare la serie biografica delle "pillole per niubbi" stavolta ho scelto di parlare di Descartes, - che ho già nominato qui, per mere vicende esistenziali - poi questo post avrebbe dovuto uscire per il suo genetliaco (31 marzo). Ritardo per ritardo, finalmente ringrazio l'orologiaiomiope, perchè è dai suoi splendidi ritratti di animali che ho preso l'idea delle "pillole per niubbi".

Altra premessa: Descartes parla quasi sempre in prima persona, il suo procedimento è autobiografico anche quando intende presentare le sue riflessioni in forma oggettiva e universale. Così, tanto per cominciare a inquadrare il personaggio.

Ora, Descartes è assolutamente fondamentale per qualsiasi storia della filosofia, non c'è manuale che non lo identifichi come il punto di partenza della filosofia moderna, il momento della svolta del sapere e del pensiero filosofico. Dopo aver letto questo, in qualsiasi manuale nelle pagine seguenti c'è il florilegio delle cazzate cartesiane; sembra che Cartesio non ne abbia azzeccata una: dalla prima obiezione di Hobbes, che al cogito ergo sum contrappone un geniale "cammino quindi sono una passeggiata", alla ghiandola pineale, alla teoria dei vortici (che in Inghilterra ancora si sbellicano dalle risate).

Descartes nasce il 31 marzo del 1596, nel Poitou - veramente nacque a La Haye, perché mammà non voleva stare sola e siccome il marito era lontano ne aveva approfittato per fare i venticinque chilometri che la separavano dalla casa dei genitori e far nascere il figlio colà. Fortunatamente la storia ha lasciato poche tracce di questa donna che ha rischiato di cambiare, per un capriccio da gravida ansiosa, la storia della filosofia occidentale e nonostante tutto gli amici chiamarono sempre Cartesio "René le Poitevin". Essì, perchè La Haye sta nella Touraine, a maggioranza cattolica, al contrario del Poitou che invece era a maggioranza protestante, e quindi Cartesio, di famiglia fervidamente cattolica, finisce per crescere in una regione protestante, e allevato da una altrettanto fervente istitutrice cattolica. Il risultato fu che per tutta la vita ebbe una salutare paura dell'Inquisizione preferendo vivere perlopiù in paesi protestanti, dove magari lo attaccavano (ma pure poco) in quanto cattolico, ma non attentavano seriamente alla sua salute.

La Haye in quegli anni non era un gran posto dove vivere, tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento ci passò parecchie volte la peste, e il nome della cittadina (adesso si chiama Descartes) derivava direttamente dalle siepi spinose che venivano piantate come vana difesa contro le scorriere dei briganti. Poi nel 1596, l'anno della nascita del nostro appunto, arrivò da quelle parte il duca d'Anjou e dei briganti si persero le tracce (tralasciamo il come, alquanto sanguinoso).

Cartesio ricorda la sua infanzia, felice nonostante la morte della madre - quattro figli in quattro anni - a zonzo per le campagne e a contatto con la natura e gli animali. Insomma, la cautela nell'allevare bambini deve essere massima, se la storia può insegnare qualcosa.

La famiglia era ricca, senza tanti fronzoli, era proprio ricca; sia dal lato paterno che da quello materno, e da entrambe le ascendenze formata da medici. Medici pieni di fervore per la ricerca se il bisnonno di Cartesio, Jean Ferrand, - medico personale della regina Eleonora d'Asburgo, figlia di Giovanna la Pazza (che poi tanto pazza non era) e moglie di Francesco I di Francia, - non ebbe esitazioni nel fare l'autopsia al genero, morto di calcolosi renale, e pubblicare pure la relazione autoptica in latino. Comunque sia, diventato grande, Cartesio deve perdere un sacco di tempo per curare gli affari di famiglia, soprattutto proprietà terriere, che gli consentirono di fare il filosofo senza troppe preoccupazioni quotidiane. E anche di togliersi lo sfizio di fare il gentiluomo d'arme, senza peraltro partecipare mai a una battaglia.

A undici anni Cartesio entra nel collegio gesuita di La Flèche, e ci resta per otto anni; a ragione della sua salute cagionevole (e dei soldi di papà) ha un trattamento di favore, e non da poco. La disciplina dei gesuiti è abbastanza nota, e invece il giovane Renè viene esentato dal seguire le regole orarie del collegio. Può poltrire a letto e andare in classe quando se la sente; abitudine che manterrà tutta la vita, quella di svegliarsi tardi e rimanere a letto a pensare finchè non si sentiva abbastanza riposato da alzarsi.
Insomma gli altri avevano orari da facchini, estate e inverno, tutti in piedi alle cinque di mattina. Tra le cinque e le cinque e quarantacinque preghiera e lavacri mattutini, poi fino alle sette studio e colazione. Alle sette e mezza in classe fino alle dieci, poi a messa, poi a pranzo. Alle tredici e trenta di nuovo in classe fino alle sedici e trenta (o diciassette e trenta d'estate); Cartesio più o meno compariva per le lezioni del pomeriggio, e non era tra gli studenti più popolari, e capiamo anche perché.
Il curriculum studiorum di La Flèche era di prim'ordine. Latino, greco, retorica, filosofia, matematica. E Aristotele, tanto Aristotele, sopra tutto? Aristotele. Il che rende le periodiche affermazioni di Cartesio (ho fatto tutto da solo, ho pensato tutto io) alquanto poco credibili.

Si diverte Cartesio dai gesuiti, dorme, tira di scherma, studia quello che gli pare e seppellisce anche il cuore di un re. Fa parte infatti dei ventiquattro allievi che scortano all'ultimo riposo il cuore - solo quello - di Enrico IV ucciso da un fanatico cattolico.

Di Enrico IV si ricordano due frasi famose "Parigi val bene una messa" e "un pollo in ogni pentola". Il suo assassino invece inaugura una scuola di pensiero che arriva fino a Lee Oswald "Ho fatto tutto da solo".

Nel 1615 Cartesio lascia il collegio e si trasferisce a Poitiers a studiare diritto. Si laurea in un anno, e non si capisce come visto che passa buona parte delle sue giornate a tirare di scherma e andare a cavallo. Nel pomeriggio, ovviamente. Dopo la laurea decide di andare a Parigi, ma il padre non è molto contento della decisione; René lo convince che deve andarci per completare la sua formazione e allora papà acconsente, non senza mandargli dietro un valletto e un paio di domestici. Un valletto scelto da René, naturalmente, che non si muoverà mai senza almeno tre domestici al seguito, per tutta la vita.

La Parigi in cui arriva Cartesio è quella dei Tre moschettieri (sapevate che Dumas padre era mulatto?), per intenderci, damerini azzimati che uscivano con la spada lucente al fianco, vestiti di seta e broccato, eleganti, cicisbei e un po' guasconi. E Cartesio era tra i primi, giovane provinciale pieno di soldi sbarcato nella capitale, colto e raffinato.

Beve, gioca d'azzardo, balla alle feste. A Parigi gli passano tutti i mali che l'avevano caratterizzato come cagionevole; non soffre più di niente e può passare le notti in giro a far casino. A Parigi ritrova anche Marin Mersenne, vecchia conoscenza del collegio che ha preso i voti e fa il gesuita. E meno male che lo ritrova perché almeno con Mersenne qualcosa studia (matematica e musica, perlopiù). Dopo un anno di bagordi si stufa e decide che deve rimettersi in riga, ma gli amici sono sempre alla sua porta, c'è sempre una festa, un concerto, una donna; per tagliare la testa al toro Cartesio decide di cambiare casa e non da a nessuno il nuovo indirizzo; va a stare in un posto che allora era quasi fuori città, vicino alla chiesa di Saint-Germain-des-Prés. Resta nascosto per quasi un anno, studia, scrive, pensa. E dorme. Poi si stanca anche della vita da intellettuale recluso e quando viene a sapere che Maurizio di Nassau, principe di Orange sta cercando volontari per il suo esercito licenzia i domestici e parte con il valletto per andare in Olanda ad arruolarsi. Il fatto che il principe di Orange sia un protestante non gli turba minimamente il sonno. (segue)

Socrate - seconda parte
Socrate - prima parte
Giordano Bruno - seconda parte
Giordano Bruno - prima parte
Tommaso Campanella
Pico della Mirandola

27 maggio 2008

Età mentale

Via misswelby arrivo al test sull'età mentale.
Il risultato che ho ottenuto è il seguente:

La tua età mentale è di 33 anni

Hai una mente abbastanza giovanile, anche se non più adolescenziale. Sei sulla buona strada per diventare un adulto maturo e responsabile! Scrivici se hai apprezzato questo test.

P.S:
  • Ah sì... gli anziani non meritano alcun rispetto? E quando sarai anziano tu? Hai mai pensato a questo? È il caso di farlo perché gli anni passeranno anche per te!

25 maggio 2008

La Frontera

La Frontera: batteria, chitarra, fisarmonica e violino. Se vi capita, andate a sentirli, meritano.
Io li ho sentiti ieri sera, a Pieve di Cento, un paesino della bassa bolognese che ha nello stemma comunale il motto Terra plebis, perchè è uno dei sette luoghi in Italia dove vige ancora l'istituto della Partecipanza.

La Partecipanza nasce nel Medioevo, e consiste nella proprietà collettiva delle terre che vengono assegnate, più o meno ogni vent'anni, alle famiglie del paese per essere lavorate. Il sito web della Partecipanza di Pieve di Cento è qui.

Gli altri sei comuni sono: Nonantola, Cento, Sant'Agata Bolognese, Villafontana, San Giovanni in Persiceto, Grignano Polesine.

21 maggio 2008

Nuova emergenza rom

Berlusconi: "Sarebbe bello un Consiglio dei Ministri itinerante..." adnkronos.

16 maggio 2008

Rom, extracomunitari, emergenze, and so on

Sento e leggo molti commenti scandalizzati. E' colpa della Lega, è colpa del nano, di Alemanno, del bombardamento mediatico, dell'incertezza per il futuro, della paura del diverso, della camorra, della violenza, della percezione dell'insicurezza, tutte opinioni legittime e anche fondate. Ma.
C'è un ma.
Ed è che un italiano su due è fascista.
E una controprova è data dal fatto che, sinistra o no, nessuno trova aggregazione su temi come: uguaglianza, della giustizia sociale, welfare, progresso civile.
Non esiste più in Italia lo spazio politico. E non intendo dire che non esiste uno spazio politico per la sinistra, ma che non esiste più la polis.
Uno stato che tollera - che incita ai - i pogrom è uno stato che non ha diritto all'esistenza.



14 maggio 2008

Non toccare il mio amico


via bakunin

Emergenza rom

Da panorama:

"60 delle 67 organizzazioni del malaffare italiano sono infatti presenti nella regione dell’Urbe.

Parola dell’Osservatorio tecnico scientifico per la sicurezza e la legalità del Lazio che, per bocca del suo presidente, Enzo Ciconte, ha reso nota la mappatura integrale della criminalità laziale. E la fotografia non è per niente incoraggiante: nella regione sono attualmente “in attività” circa 300 mafiosi suddivisi appunto in una sessantina di “cosche”: venticinque fanno capo a ‘Ndrangheta, diciassette alla Camorra, quattordici a Cosa Nostra e due alla Sacra Corona Unita. Ne restano fuori una manciata, sotto la guida di vari clan isolani.

E Roma, naturalmente, la fa da padrona, con sei gruppi a dominare la scena: secondo la mappa dei grandi clan criminali all’interno della Capitale, la suddivisione è rigorosamente per zone. Al Flaminio operano 5 ‘ndrine (Morabito, Bruzzaniti, Palamara, Speranza e Scriva) a S. Basilio la ‘ndrina Sergi-Marando, ad Ostia c’è la Camorra e Cosa Nostra, a Sud-est la Camorra del clan Senese a Ciampino e Centocelle, i ben conosciuti Casamonica all’Appio, Tuscolano, alla Borghesiana il clan Ierinò.
Restano in second’ordine, ma sono comunque in ascesa, la distribuzione dei prodotti ortofrutticoli, il settore turistico, la ristorazione e la sanità."

Non c'è dubbio, a Roma urge un "commissario per i Rom"

13 maggio 2008

Il problema degli extracomunitari

Ecco quando sento o leggo frasi simili a me vengono in mente alcune cose:

Questa, per esempio; oppure questa; o magari anche articoli così o anche cose un po' più surreali, ma anche più quotidiane, come questa o quella vicina.

Ma - che ve lo dico a fare? L'emergenza sono gli extracomunitari. (no, non i rumeni, loro sono comunitari.)

Italia, maggio 2008

Pogrom contro i Rom, - in cui c'entra la camorra (hat tip: rosalucsemburg). La mafia al potere - no, non attraverso politici corrotti, proprio direttamente. Razzisti e fascisti di contorno, nazisti in provincia, illustri esponenti del centrosinistra che ci fanno vergognare: "Finocchiaro: inaccettabili accuse così gravi. Critiche sono state rivolte a Travaglio anche da Anna Finocchiaro, capogruppo del Pd al Senato: «Trovo inaccettabile che possano essere lanciate accuse così gravi, come quella di collusione mafiosa, nei confronti del presidente del Senato, in diretta tv su una rete pubblica, senza possibilità di contraddittorio» (dal sito web del messaggero).
Il fatturato fa conquistare alla mafia i primi posti nell'economia italiana.

Così, mettendo insieme al volo un paio di cose.

Renato Schifani

Deve essere l'unico avvocato siciliano che non ha mai conosciuto un mafioso. E a quanto pare wikipedia fa meno paura di Travaglio:

"Nel 1979 Schifani è stato tra i fondatori (con una quota del 3%, pari ad un milione e mezzo di lire) della società Siculabrokers, nella quale ha anche assunto il ruolo di amministratore. Tra i soci di questa società, vi erano l'ex ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà: Benny D'Agostino - all'epoca dei fatti un imprenditore incensurato facente parte di una nota famiglia impegnata nella costruzione di porti e banchine in tutta la Sicilia - nel 1997 fu arrestato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e successivamente condannato; Mandalà, che nel 1980 era incensurato e svolgeva l'attività di rivenditore di carburanti, è stato arrestano nel 1998 per mafia, successivamente anch'egli condannato è stato definito dai giudici il capocosca di Villabate; Lombardo è stato presidente e consigliere delegato della società di recupero crediti Satris della quale erano soci i discussi esattori ed uomini d'onore della "famiglia" di Salemi Nino e Ignazio Salvo, arrestati da Giovanni Falcone nel 1984. Nel dicembre del 1980, un anno e mezzo dopo esservi entrato, Schifani ha poi liquidato la propria quota uscendo dalla società.

Nel 1992 Schifani insieme all'avvocato Antonino Garofalo è stato socio fondatore di Gms (una società di recupero crediti). Garofalo è stato arrestato nel 1997 e rinviato a giudizio per usura ed estorsione. Schifani tuttavia non è stato coinvolto nella vicenda."

In sintesi, su cinque soci che ha avuto Schifani in due diverse società quattro sono stati condannati per reati connessi all'associazione mafiosa.
Non male.
Conosco donne che hanno sbagliato due mariti su due, ma quattro soci su cinque...

08 maggio 2008

La recensione che avrei voluto scrivere

La recensione che avrei voluto scrivere l'ha scritta invece Annalena Benigni sul Foglio.
La trovate qui, però mi piace così tanto che ve la ripropongo per intero. Buona lettura.

“L’uomo che non credeva in Dio” è felice di essere nonno anche se Spinoza non dice nulla al riguardo

Bisogna farsi coraggio e comprare questo libro, pur non essendone degni. Rilassarsi pensando a quanto tempo di posa sarà costata la foto di copertina, con tutte le rughe perfette sulla fronte e l’aria grandiosa da busto del Pincio. Poi leggere tutto “L’uomo che non credeva in Dio” di Eugenio Scalfari (ricordandosi però a ogni pagina di non esserne degni) e provare infinita gratitudine per ogni particolare davvero autobiografico, privato, per ogni pezzetto di vita sottratta alla gabbia dell’Io: Eugenio Scalfari che lavora all’uncinetto facendo le maglie per due bamboline con la testa di ceramica, Eugenio Scalfari che piange disperato perché un compagno di scuola gli ha gettato dalla finestra tutti i giocattoli, ma lui è buono e lo perdona, Eugenio Scalfari che porta in spiaggia la sera le ragazze (dopo la parentesi bordello, un classico di cui quelli della sua età vanno sempre fieri), Eugenio Scalfari che vive simultaneamente due diversi approdi sentimentali (“mai come allora ho invidiato il dono dell’ubiquità”), fino a Scalfari nonno contento che cede all’orgoglio volgare della consanguineità (“per chi la pensa come penso io è un errore grave”, ma il suo “es”, scrive, gli ha mandato quel segnale e lui ha dovuto tradurlo in parole semplici: è magnifico che si possa diventare nonni, anche se Spinoza non ha scritto nulla a riguardo).
Il libro di Scalfari è molto di più, ovviamente, è un’autobiografia esistenziale e filosofica (tenere a mente l’indegnità anche estetica di accostarcisi, rende più intensa la lettura), ed è soprattutto un lungo magnifico salto negli anni del liceo: ci sono tutti i filosofi studiati a scuola, tutti, e ognuno è citato con le stesse frasi che ci si scriveva sul banco per cavarsela alle interrogazioni senza aver studiato. Eugenio Scalfari, venerato maestro che eccezionalmente è riuscito a non cadere mai nell’altra classica categoria del Novecento, solito stronzo, regala democraticamente anche agli indegni un’immedesimazione. Lui studiava sul Lamanna, io sottolineavo l’Abbagnano, ma la res cogitans e la res extensa sono state uguali per tutti, come la ragion pratica e la ragion pura e il Discorso di Cartesio e “Fatti non foste a viver come bruti”. E Rousseau e i Sepolcri di Foscolo, fino a quella frase di Nietzsche che ritorna molto spesso ne “L’uomo che non credeva in Dio” e stava sui diari e sugli zaini di tutte le femmine perché rimandava a cose rimorchianti di maschi fumatori e ripetenti. Infatti è anche una maglietta Feltrinelli: “Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante”.
La vita pensata di Scalfari, insomma, si fa meno irraggiungibile, più giovanile (anche se lui era in classe con Italo Calvino e chissà se lo faceva copiare o copriva il foglio con la mano), poi il libro pesa meno del manuale di filosofia, è più fico da vedere (merito della foto) e, tenuto disinvoltamente aperto sul banco, garantisce il sei e mezzo all’interrogazione.


Esami

07 maggio 2008

Compleanni

Omicidio a Verona

Tre link, per tre letture diverse che analizzano aspetti diversi. Da leggere tutti e tre.
uriel, letturalenta e rosalucsemburg.

Aggiornamento

Questo blog continua a tifare Clinton.

01 maggio 2008

Note a margine: Vattimo all'università di Bologna

Su Repubblica di oggi, nella prima pagina dell'edizione locale di Bologna (online potete vedere solo il pdf non leggibile) Franco Carinci, in un editoriale dal titolo Bononia docet ma non la coerenza contesta la decisione del preside di lettere di non concedere un'aula a Gianni Vattimo per illustrare le ragioni del boicottaggio culturale a Israele in occasione della Fiera del Libro di Torino.
Ne ho parlato brevemente qui. (ho mandato più o meno le considerazioni che seguono a repubblica, vediamo che ne fanno)

Le argomentazioni con cui Carinci si oppone alla decisione di Sassatelli sono però ampiamente discutibili, - in tutti i sensi. Le sintetizzo brevemente, visto che online l'articolo non si trova.

Scrive Carinci che l'aula non si poteva negare per ragioni di principio e di opportunità.

Le ragioni di principio le estrinseca con queste parole:
"perchè non si vede come si poteva negare a un professore universitario a pieno titolo cioè non per mero biglietto da visita, ma per autorevolezza scientifica - di dire la sua".

1. mi sfugge la distinzione tra professore universitario a pieno titolo e tra professore universitario per "mero biglietto da visita".
Sarebbe illuminante qualche esempio da parte di Carinci.
Per caso i professori universitari "per mero biglietto da visita" potrebbero essere quelli che su giornali a tiratura nazionale sostengono che la propria disciplina si basa sulla copia e sul plagio come ha fatto Vattimo qualche tempo fa sul Corriere della Sera?

2. Vattimo è docente universitario di filosofia teoretica. Ha chiesto l'aula non per tenere una lezione sulla sua disciplina ma per intervenire su un avvenimento di politica contemporanea. L'essere docenti universitari consente di chiedere l'uso di una struttura pubblica per propagandare le proprie idee sull'universo mondo? E Carinci avrebbe difeso comunque questa richiesta se l'argomento presentato da Vattimo fosse stato la Coppa dei Campioni? E se invece Vattimo avesse voluto illuminarci sulla reale possibilità del moto perpetuo? A mio avviso, l'essere docente universitario di filosofia a questo riguardo non offre particolari privilegi rispetto a essere un operatore ecologico.

Continua Carinci dicendo che quando si parla in università:
"se lo fa un professore, di norma lo fa ex cathedra, con la sua brava lezione che spesso non tollera né interruzioni né domande finali, senza che sia previsto alcun duetto cantilenante"

1. Ormai sono molti anni che bazzico l'università, prima da studente e poi da docente. Devo ammettere che una lezione universitaria senza domande non mi è mai capitata. Non vi ho mai assistito e non ne ho mai tenute. A volte, se non ci sono, mi capita di sollecitarle. Strano ma vero.

2. Si suppone che si parli ex cathedra della propria disciplina. Del proprio ambito di competenze scientifiche e accademiche, non di posizioni politiche che, anzi, come tali devono sostenere il contraddittorio. O dobbiamo ascoltare Vattimo ex cathedra anche quando ci parla delle sue senili infatuazioni per cubani cubisti?

Carinci passa poi alle ragioni di opportunità e scrive:
"E' ben noto che questi gruppi cercano visibilità pubblica e non per nulla avevano questa volta scelto un personaggio come Vattimo, sicché, se si voleva farne parlare in lungo e in largo, questa era la maniera giusta; non solo il divieto avrebbe avuto luogo solo se si fosse stati in grado di garantirne l'osservanza, cosa che già a priori si dava per esclusa."

1. Curiosa argomentazione che esplicita come Vattimo si sia prestato a fare da utile udiota a un gruppo politico che cercava solo pubblicità. Epperò Carinci la responsabilità di questa pubblicità tenta di scaricarla su chi ha cercato di evitare che l'università fosse strumentalizzata da un manipolo di press-agent in pectore.

2. Mi sfugge la coerenza argomentativa del fatto che si possa vietare qualcosa solo se il divieto è efficace. Che significa? Che siccome non possiamo fermare il traffico di organi umani dobbiamo legalizzare la vendita dei reni?

Dopo di che i collettivi occupano un'aula universitaria. E' già accaduto in passato e accadrà ancora in futuro, non mi pare una tragedia. Quello che invece mi sembra il caso di sottolineare è che un professore universitario - Gianni Vattimo - in spregio totale dell'istituzione a cui appartiene, l'università, e in spregio totale del rispetto accademico, sia entrato in quell'aula, novello Wanda Osiris nella ola dei suoi boys "accolto come un trionfatore, con un mistico rigurgito di trasgressione" come acutamente scrive Carinci.

A me pare che Sassatelli non avrebbe potuto comportarsi in maniera migliore. Ha legittimamente negato un'aula universitaria per un'iniziativa ambigua e pubblicitaria e ha mostrato sensibilità e coraggio nell'essere nel luogo che gli studenti avevano occupato, perchè l'università è degli studenti, anche quando sbagliano.

Che ne siano consapevoli o no, gli studenti di Bologna hanno visto in azione due tipi ben diversi di docenti universitari: Sassatelli e Vattimo. Meno male.