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29 giugno 2009

La ricerca malata

La lettera di Rita Clemente al Presidente della Repubblica. Impossibile non diffonderla (e soprattutto impossibile non sottoscriverla)


Caro presidente Napolitano, chi le scrive è una non più giovane ricercatrice precaria che ha deciso di andarsene dal suo Paese
portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito al la loro madre. Vado via con rab bia, con la sensazione che la mia abnegazione e la mia dedi zione non siano servite a nulla. Vado via con l’intento di chie dere la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarmi, rinuncian do ad essere italiana.

Signor presidente, la ricerca in questo Paese è ammalata. La cronaca parla chiaro, ma oltre alla cronaca ci sono tantissime realtà che non vengono denun ciate per paura di ritorsione perché, spesso, chi fa ricerca da precario, se denuncia è auto maticamente espulso dal «siste ma » indipendentemente dai ri sultati ottenuti. Chi fa ricerca da precario non può «solo» contare sui risultati che ottie ne, poiché in Italia la benevo lenza dei propri referenti è una variabile indipendente dalla qualità del lavoro. Chi fa ricer ca da precario deve fare i conti con il rinnovo della borsa o del contratto che gli consentirà di mantenersi senza pesare sulla propria famiglia. Non può per mettersi ricorsi costosi e che molto spesso finiscono nel nul la. E poi, perché dovrebbe adi re le vie legali se docenti dichia rati colpevoli sino all’ultimo grado di giudizio per aver con dotto concorsi universitari vio lando le norme non sono mai stati rimossi e hanno continua to a essere eletti (dai loro colle ghi!) commissari in nuovi con corsi?

Io, laureata nel 1990 in Medi cina e Chirurgia all’Università di Pavia, con due specialità, in Pediatria e in Genetica medica, conseguite nella medesima Uni versità, nel 2004 ho avuto l’onore di pubblicare con pri mo nome un articolo sul New England Journal of Medicine i risultati della mia scoperta e cioè che alcune forme di linfo ma maligno possono avere un’origine genetica e che è dun que possibile ereditare dai geni tori la predisposizione a svilup pare questa forma tumorale. Ta le scoperta è stata fatta oggetto di brevetto poi lasciato decade re non essendo stato ritenuto abbastanza interessante dalle istituzioni presso cui lavoravo. Di contro, illustri gruppi di ri cerca stranieri hanno conferma to la mia tesi che è diventata ora parte integrante dei loro progetti: ma, si sa, nemo profe ta in Patria.

Ottenere questi risultati mi è costato impegno e sacrifici: mettevo i bambini a dormire e di notte tornavo in laboratorio, non c’erano sabati o domeni che...

Lavoravo, come tutti i precari, senza versamenti pen sionistici, ferie, malattia. Ho avuto contratti di tutti i tipi: borse di studio, co-co-co, con tratti di consulenza... Come ul timo un contratto a progetto presso l’Istituto di Genetica me dica dell’Università di Pavia, fi nanziato dal Policlinico San Matteo di Pavia.

Sia chiaro: nessuno mi impo neva questi orari. Ero spinta dal mio senso del dovere e dal la forte motivazione di aiutare chi era ammalato. Nel febbraio 2005 mi sono vista costretta a interrompere la ricerca: mi era stato detto che non avrei avuto un futuro. Ho interrotto una ri cerca che molti hanno giudica to promettente, e che avrebbe potuto aggiungere una tessera al puzzle che in tutto il mondo si sta cercando di completare e che potrebbe aiutarci a sconfig gere il cancro.

Desidero evidenziare pro prio questo: il sistema antimeri tocratico danneggia non solo il singolo ricercatore precario, ma soprattutto le persone che vivono in questa Nazione. Una «buona ricerca» può solo aiuta re a crescere; per questo moti vo numerosi Stati europei ed extraeuropei, pur in periodo di profonda crisi economica, han no ritenuto di aumentare i fi­nanziamenti per la ricerca.

È sufficiente, anche in Italia, incrementare gli stanziamenti? Purtroppo no. Se il malcostu me non verrà interrotto, se chi è colpevole non sarà rimosso, se non si faranno emergere i migliori, gli onesti, dare più soldi avrebbe come unica con seguenza quella di potenziare le lobby che usano le Universi tà e gli enti di ricerca come feu do privato e che così facendo distruggono la ricerca.
Con molta amarezza, signor presidente, la saluto.

Rita Clementi

02 ottobre 2008

Università e precari

Tre link per seguire cosa accade all'università:




E' che si entra in un circolo vizioso; se da un lato è doveroso opporsi opporsi alla politica intorno all'università di un governo che sta cercando solo di smantellarla, dall'altro prevale l'amara consapevolezza che si cerca di difendere un sistema che vuole esclusivamente perpetuare  il suo potere, e che ha ai suoi vertici personaggi che sono realmente interessati alla ricerca più o meno come Berlusconi e i suoi guitti travestiti da sgherri.

Anche se la ricerca in Italia è finita, e questo ben prima dei tagli degli ultimi dieci anni, nel mondo continua, e l'umanità non soffrirà se nel nostro paese si deciderà di formalizzarne la fine.

E la domanda che mi faccio è: è etico, morale, corretto difendere questo sistema dai tagli del nano? La prima risposta che mi viene è: no; poi chiaro che - obtorto collo - si fa quel che si può, ma fortunatamente è poco.

Università, ricerca e tagli

Due link, due articoli da fronti opposti. 
Che Vattimo firmi un appello contro i tagli che bloccano la ricerca mi muove a una franca risata; se nei dipartimenti di filosofia non si fa (o si fa poca) ricerca la prima responsabilità va cercata in coloro che da quaranta anni lavorano all'università, sono nelle commissioni di concorso e firmano i progetti di ricerca. Per quel che mi riguarda, se decidessero domani di chiudere tutti i dipartimenti di filosofia in Italia e ricominciare da zero (o anche non ricominciare) non mi farei sfuggire una lacrima.

L'altro link porta un sito interessante, precaridellaricerca e narra dell'occupazione della presidenza del CNR e ben illustra anche il comportamento e il ruolo del sindacato all'università; e qui mi viene spontanea una domanda: per la didattica e la ricerca, il sindacato, oltre a mettere in cattedra un plotone di gente per lo più scarsamente portata, che altro ha fatto?

17 marzo 2008

Open Access

"L'Università di Harvard ha sposato in pieno il progetto e la filosofia Open Access, mettendo a disposizione dei ricercatori delle varie facoltà un archivio in cui pubblicare, a costo praticamente nullo, i propri risultati e articoli di ricerca. A tale archivio è possibile accedere gratuitamente da Internet, senza nessun vincolo particolare." continua qui e qui.

13 marzo 2008

Appello a Napolitano per la ricerca

L'appello chiede che vengano utilizzate sempre, per l'assegnazione dei finanziamenti, delle procedure di peer review, ovvero in base a una valutazione scientifica nel merito, regolamentata, anonima e indipendente. Io l'ho firmato. Sul sito del sole24ore

10 marzo 2008

Relativismi

In discussioni non tanto a margine del convegno già citato è stato affrontato quello che va sotto il nome di "problema dei contenuti". Non è una questione di metafisica lana caprina, tutt'altro; si tratta di discutere e decidere quali contenuti possano essere più adatti alle diverse tecnologie didattiche possibili. Il punto è che devono essere chiari a monte e, a quanto pare, non è più così.

La risposta alla domanda chi decide cosa devono imparare gli studenti universitari sembra essere semplice: la comunità scientifica, ovvero i docenti (e ricercatori) universitari. Ho messo ricercatori tra parentesi per un motivo ben preciso. Sempre di più, in Italia come altrove, si separa la didattica dalla ricerca; per essere più precisi si direbbe in Italia meno che altrove, dato che a parte i docenti a contratto non esistono nel nostro paese figure legate esclusivamente all'insegnamento, ma se consideriamo che i docenti a contratto sono ormai una percentuale così significativa da essere aberrante (in alcune università sono più del 50% del corpo docente) possiamo tranquillamente affermare di essere trendy anche in questa aberrazione.

Il punto mi pare essere questo: nessuno, o pochi, sembrano in grado di decidere quali debbano essere le nozioni base di uno studente universitario. Scendiamo su un piano concreto: dopo due anni di studio universitario in filosofia uno studente cosa deve necessariamente aver imparato e perchè? Quanti e quali libri deve aver letto e compreso?

Ho scelto come step i primi due anni non a caso, perchè in seguito, dopo il terzo anno, parliamo di studi specialistici e qui il problema sembra essere più semplice. E' chiaro che un epistemologo deve seguire e segue un percorso molto diverso da un filosofo estetico o da uno storico della filosofia o da un filosofo teoretico (sembra, appunto. Ma ci torneremo sopra, prima o poi).

Torniamo ai primi due anni. Quali corsi e con quali programmi? Questa sembra essere una domanda alla quale è sempre più difficile rispondere. Ogni università pare fare storia autonoma, e studiare filosofia a Milano significa studiare cose diverse - parliamo sempre di nozioni base - di quelle che si studiano a Padova o a Napoli o a Bologna.

Disegnare curricula è anche un atto di arroganza scientifica. Significa reputarsi in grado - a torto o a ragione - di decidere cosa deve studiare oggi una persona per fare ricerca e per insegnare a sua volta domani. Significa aver chiarissimi scopi e modalità della propria disciplina, ma anche essere certi della direzione che deve prendere. E', anche, in ultima analisi, un fatto etico.

Nella mia disciplina il relativismo è questo: la sospensione non del giudizio, ma della decisione.
Qualche scientista, o presunto tale, incolpa il pensiero postmoderno. Viene il dubbio che si cerchi un capro espiatorio a buon mercato.

Così come altrove si difendono posizioni come l'imposizione del velo, si giustifica l'infibulazione, la poligamia, la sottomissione del genere femminile, in nome del rispetto delle culture diverse e del contesto.

16 gennaio 2008

Il papa, La sapienza e l'impiccato

E' l'argomento del giorno. E allora anche i miei due centesimi.
Per prima cosa mi piacerebbe sapere chi ha avuto la primigenia idea di chiamare il papa a tenere la lectio magistralis all'università di Roma. Perchè la lectio magistralis non è solo un generico discorso d'inizio anno, ma è il discorso che tratteggia l'indirizzo dell'università, ne indica - se volete - l'ideologia di riferimento.

E' ben chiaro che non può essere tenuta se non da chi si riconosce nella libera ricerca. E non è il caso del papa.

Ovvio che per il papa non è un problema tenere la lectio, tutt'altro; ma dovrebbe essere un problema per chiunque si riconosca nell'università come istituzione.

E la prima domanda che viene a me è appunto questa: chi ha avuto l'idea? Perchè chi ha avuto l'idea è il problema vero. Chi ci ha pensato non si riconosce per primo nell'idea di universitas.

Non è questione di essere cattolici, laici, atei, no. Non è nemmeno un problema di libertà di espressione. E' una questione di ruolo, che evidentemente non è più sentito.

Chiunque abbia fatto l'università ha partecipato almeno a uno sciopero, a una protesta, a un sit-in, se non altro come spettatore. Durante non ricordo più quale protesta, per non ricordo più quale ventilata riforma universitaria, è capitato anche a me. Durante una lezione un paio di studenti chiesero la parola per spiegare le ragioni della protesta. Il professore li ascoltò pazientemente, affermò di essere a sua volta poco convinto di molti aspetti della ventilata riforma, e concluse affermando che non sarebbe andata in porto perchè "sopra un professore ordinario c'è solo dio". Un'affermazione arrogante, senza alcun dubbio, finanche un'affermazione di arroganza scientifica se volete, ma era l'affermazione di una persona cosciente e consapevole del suo ruolo, che non accettava nessuna indicazione se non da qualcuno che riconosceva come suo pari.
Ecco, mi pare che - al di là delle baronie, e di tutti i mali della classe docente universitaria e non - sia venuta a mancare questa consapevolezza.

E a Roma c'è stato chi ha pensato bene fosse il caso di ascoltare la lezione del parroco prima di andare in aula. E' questo l'aspetto spaventoso della questione.

E' troppo lunga la lista dei proni e mi pare anche doveroso ringraziare chi prono non ha voluto mettersi.

ps. Il gran rifiuto del Vaticano mi pare abbastanza spiegabile. Sui media stranieri non ci va mai, pensate davvero che avrebbe voluto essere sulla CNN con la polizia che caricava i manifestanti mentre il papa teneva la lectio all'università?

30 luglio 2007

nanotecnologie

Da qualche tempo, per le ragione più svariate, le mie letture si svagano dalle parti delle nanotecnologie. Qualche tempo fa mi era capitata sotto gli occhi l'affermazione di Chad Mirkin, Presidente dell’Istituto di nanotecnologia della Northwestern University, secondo il quale “La nanoscienza non è un settore scientifico a parte, distinto dagli altri. È una nuova ottica, un nuovo approccio alle discipline tradizionali.”
Pensavo esagerasse, e invece a quanto studio pare proprio di no.
Ci devo fare un corso su questa roba, prima o poi.

15 dicembre 2006

Talento

E' inutile, quelli del MIT hanno una marcia in più. Quale altro ricercatore sarebbe riuscito a tirar fuori un finanziamento per passare le serate al pub tirandone fuori una pubblicazione accademica?

12 novembre 2006

Piano straordinario per l'università

Erano arrivate prima le proteste dei rettori delle università, poi sono insorti gli scienziati in una riunione con il Nobel Rubbia e, alla testa, l'altro Nobel Rita Levi Montalcini con la sua "minaccia" di non votare la Finanziaria senza la correzione del capitolo sulla ricerca scientifica. Hanno risposto il presidente del Consiglio, il ministro dell'economia con l'impegno a rivedere quel capitolo della manovra.
E, oggi, la prima risposta pratica: un piano straodinario per l'assunzione di ricercatori nelle università e negli enti di ricerca con uno stanziamento contro la "fuga dei cervelli". continua su repubblica

10 novembre 2006

Finanziaria: i tagli alla ricerca

Qualche tempo fa mi chiedevo quali fossero i tagli previsti dalla finanziaria. Adesso comincio a trovare qualche risposta, e non posso dire che mi piaccia.
Dal sito di repubblica le proteste dei vertici universitari e la dichiarazione di Rita Levi Montalcini che avverte: "Se rimarranno i tagli alla ricerca, non voterò la Finanziaria"

05 ottobre 2006

Scusa fb!

fB ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Follie":

Io spendo dieci minuti a scrivere un commento e tu mi cancelli il post?

Adesso ti arrangio io:

> Non è difficile capire perché le regole dei concorsi, unite alla
> cosiddetta autonomia di bilancio delle Facoltà, abbiano prodotto
> questa situazione

Tale situazione persiste fin dal ventennio, attribuirne il motivo alle "regole" e pensare di cambiare tale situazione per decreto contribuisce ad aggravare il problema. Si è già tentato di farlo moltissime volte senza risultato alcuno.

Cambiare le regole dei concorsi non serve assolutamente a niente, Francia e Germania hanno due sistemi di reclutamento cosí diversi tra loro da essere quasi l'uno il contrario dell'altro, eppure funzionano entrambi molto meglio del nostro.

Piuttosto che inseguire l'idea platonica di concorso pubblico perfetto, sarebbe assai meglio trovare il modo di far sí che i responsabili dei gruppi di ricerca paghino di persona per l'eventuale assunzione di un imbecille.

E poi bisogna dirlo chiaro: con i miserandi salari attualmente pagati ai ricercatori la mobilità rischia di rimanere un'utopia. Incentivi economici innanzitutto.