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10 marzo 2008

Relativismi

In discussioni non tanto a margine del convegno già citato è stato affrontato quello che va sotto il nome di "problema dei contenuti". Non è una questione di metafisica lana caprina, tutt'altro; si tratta di discutere e decidere quali contenuti possano essere più adatti alle diverse tecnologie didattiche possibili. Il punto è che devono essere chiari a monte e, a quanto pare, non è più così.

La risposta alla domanda chi decide cosa devono imparare gli studenti universitari sembra essere semplice: la comunità scientifica, ovvero i docenti (e ricercatori) universitari. Ho messo ricercatori tra parentesi per un motivo ben preciso. Sempre di più, in Italia come altrove, si separa la didattica dalla ricerca; per essere più precisi si direbbe in Italia meno che altrove, dato che a parte i docenti a contratto non esistono nel nostro paese figure legate esclusivamente all'insegnamento, ma se consideriamo che i docenti a contratto sono ormai una percentuale così significativa da essere aberrante (in alcune università sono più del 50% del corpo docente) possiamo tranquillamente affermare di essere trendy anche in questa aberrazione.

Il punto mi pare essere questo: nessuno, o pochi, sembrano in grado di decidere quali debbano essere le nozioni base di uno studente universitario. Scendiamo su un piano concreto: dopo due anni di studio universitario in filosofia uno studente cosa deve necessariamente aver imparato e perchè? Quanti e quali libri deve aver letto e compreso?

Ho scelto come step i primi due anni non a caso, perchè in seguito, dopo il terzo anno, parliamo di studi specialistici e qui il problema sembra essere più semplice. E' chiaro che un epistemologo deve seguire e segue un percorso molto diverso da un filosofo estetico o da uno storico della filosofia o da un filosofo teoretico (sembra, appunto. Ma ci torneremo sopra, prima o poi).

Torniamo ai primi due anni. Quali corsi e con quali programmi? Questa sembra essere una domanda alla quale è sempre più difficile rispondere. Ogni università pare fare storia autonoma, e studiare filosofia a Milano significa studiare cose diverse - parliamo sempre di nozioni base - di quelle che si studiano a Padova o a Napoli o a Bologna.

Disegnare curricula è anche un atto di arroganza scientifica. Significa reputarsi in grado - a torto o a ragione - di decidere cosa deve studiare oggi una persona per fare ricerca e per insegnare a sua volta domani. Significa aver chiarissimi scopi e modalità della propria disciplina, ma anche essere certi della direzione che deve prendere. E', anche, in ultima analisi, un fatto etico.

Nella mia disciplina il relativismo è questo: la sospensione non del giudizio, ma della decisione.
Qualche scientista, o presunto tale, incolpa il pensiero postmoderno. Viene il dubbio che si cerchi un capro espiatorio a buon mercato.

Così come altrove si difendono posizioni come l'imposizione del velo, si giustifica l'infibulazione, la poligamia, la sottomissione del genere femminile, in nome del rispetto delle culture diverse e del contesto.

Saperi virtuali

Tre giorni di convegno con relazioni di dodici minuti (più tre per la discussione) su cinque sessioni parallele comportano un notevole dispendio di calorie. In primo luogo la colazione, lungi dall'essere un lento momento in cui il mondo ti chiede scusa di esistere, diventa una sorta di sudoku (ma quanto è scemo come gioco il sudoku??) in cui si cerca di incastrare una serie di X a contrassegnare le relazioni che si vogliono sentire, saltando da una sala all'altra.
E la fregatura è che sono molte sono davvero interessanti, e altre ti trovi ad ascoltarle per puro spirito accademico/amicale. Se hai condiviso il buffet con Samaya, docente sudafricana di matematica, costringendo un paio di camerieri a doppi giri con la birra, come potresti sottrarti al suo intervendo dedicato all'insegnamento della matematica ai bambini delle tribù rurali?

E ci vogliamo perdere il simpaticissimo belga che parla delle lezioni in mobile-tv sulla banda larga dei treni? Certo, impossibile, dal momento che costui si è sobbarcato l'ingrato compito di spiegare al tizio della piscina che era imprescindibile un portacenere. E pazienza se tra Roma e Bologna a stento esiste il GPRS e che quindi delle nuove nozioni sulla mobile-tv non te ne farai nulla per almeno altri dieci anni.

E' stato uno splendido tuffo nel mondo esterno (esterno all'italia intendo), anche se qualche perplessità non manca. Il convegno era dedicato al rapporto tra didattica e nuove tecnologie, in tutte le sue forme. E-learning, middle learning, web 2.0, tutto quello che può riguardare il mondo wiki, passando dal podcast ai video, ai documentari, and so on.

La prima cosa da ricordare è che gli investimenti in questo settore corrono fluenti e copiosi. Basta presentare progetti di didattica multimediale, a distanza, con l'ipod, con le cuffie stereo, con i video multicolori e si ricevono denari su denari. In mezzo ovviamente c'è di tutto, i progetti seri come no. Ma sembra che ci si ponga, almeno da parte dei più avvertiti, un paio domande per me importanti.

1. Non è possibile insegnare tutto in e-learning o in video. Tutt'altro. Argomenti e discipline vanno scelti con oculatezza, perchè se è vero che è possibile costruire un programma interattivo per l'insegnamento del greco o della matematica, progettare un corso di filosofia teoretica o di fisica delle particelle in e-learning è tutt'altro che semplice.

2. Le nuove forme didattiche sono - appunto - nuove. Vanno testate, modificate in progress. E questo significa che partire con progetti completi di curricula è un passo quantomeno azzardato. Se si rivelassero fallaci avrebbero come conseguenza studenti usati come cavie ed eticamente non mi pare molto corretto.

3. Sarebbe interessante capire perchè noi, che siamo arrivati con le nostre relazioni, i nostri case-study, le nostre presentazioni video e/o power point, avevamo tutti la nostra relazione scritta, molti l'hanno letta, alcuni l'hanno usata come traccia, e, a dispetto di collegamenti video, video conferenze, mail e skype, il must più gettonato per scambiarsi idee e riflessioni è rimasto comunque l'incontro davanti a un caffe'.