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19 febbraio 2007

blog (parte sesta)

Ci sono aspetti del pensiero mitico che siamo ormai abituati a vedere e che riconosciamo immediatamente quando li ritroviamo sul web, come per esempio la diffusione – quando non la nascita – di altrimenti inverosimili leggende metropolitane. Di questo aspetto parla rosalux nel suo articolo Il web, le leggende e la illuminante parabola di A. Toaff.

Sono però percepibili altri aspetti e altri risvolti; meno espliciti ma non per questo meno interessanti.

Uno di questi aspetti riguarda il paradigma spazio-temporale.

Per farla breve il pensiero mitico non vede alcuna contraddizione “logica” (in sintonia con parte del pensiero religioso monoteista) a pensare che un dio, o comunque un essere soprannaturale come una ninfa, possa contemporaneamente essere in più luoghi allo stesso tempo.

Allo stesso modo, nemmeno noi – oggi, nel pieno del pensiero tecnologico – abbiamo la minima difficoltà a pensare la stessa cosa, e la pensiamo di noi stessi non di qualche olimpica divinità.

Anche il tempo, esattamente come lo spazio, viene percepito diversamente e ci aspettiamo dagli accadimenti virtuali una risposta che non ha eguali nel mondo “reale”(1).

Ciò che accade però, sta sempre dentro le coordinate spazio-temporali. E allora non possiamo più fidarci della nostra percezione degli accadimenti, nemmeno di quelli che leggiamo raccontati sui blog.

E così, chi pensa di cacciarsi nei guai per chissà quali affermazioni “coraggiose” – per altro assolutamente mainstream- o per chissà quali indiscrezioni altrui, - per altro assolutamente di pubblico dominio – invece di trovare guai reali, come pubblicitariamente paventa, trova solo ilarità virtuale.

(1) Per quel che riguarda l’argomento in questione su questo blog si mette sempre “reale” e “virtuale” tra virgolette, anche per la non raggiunta consapevolezza della distinzione tra i due. Sempre che distinzione esista, altra cosa della quale si dubita fortemente.

03 novembre 2006

blog (parte quinta)

Riprendo, dopo una pausa che non sospettavo così lunga, le fila della mia riflessione su blog e identità. (per chi fosse così fortunato da aver perso le parti precedenti e così perverso da volerle recuperare può trovarle qui: prima, seconda, terza e quarta).
Queste righe potrebbero avere il titolo "ombeglog" (blog e ombelico) se non fosse che questo in teoria vale per molti diari online.
Esistono però casi paradgmatici, che ben si prestano a far emergere considerazioni che, pur essendo generali, non sempre è possibile esemplificare con sufficiente chiarezza.
Ma spostiamo il piano del discorso e vediamo cosa accade.
Migliaia di tomi sono stati dedicati al problema dell'altro, del diverso, o al problema del rapporto tra natura e cultura, al tema dell'educazione o delle relazioni tra individui di culture diverse.
A volte accade - secondo me molto spesso, ma non vogliamo irritare nessuno - che le immagini abbiano una potenza evocativa che le parole non possono uguagliare. Le immagini in movimento non sfuggono a questa possibilità. E quindi per parlare di blog, ombelichi e identità parliamo di film. Di due film.
Cominciamo con The elephant man. La trama la conoscete immagino (se non così non fosse, cliccate sul link), in breve comunque il protagonista, colpito da una malattia degenerativa che gli deturpa il volto viene salvato dal destino di essere un'attrazione da circo e vive una breve stagione di serenità, un grande momento di felicità e consenso (la scena dell'applauso al teatro) e poi decide di togliersi la vita.
Non vi sembra il destino di molti blogger?
Escono da un anonimato sofferente, raccolgono per un breve periodo di tempo consenso e accettazione, spesso senza consapevolezza della condizione di freak che continuano a ricoprire, illusi dalla convinzione di far parte di un "mondo virtuale" dove costruirsi una identità nuova che nessun legame ha con la loro condizione esistenziale "reale" (e purtroppo a volte vengono clamorosamente smentiti), e finiscono con un suicidio - grazie a dio spesso solamente virtuale.
E continua a rimanere dolorosamente intatta la condizione di freak nella vita reale.

Il secondo film è L'enigma di Kaspar Hauser. Per alcuni aspetti riecheggia Ragazzo selvaggio, ma ai fini del nostro discorso "marginale" sui blog ci interessa il fatto che Kaspar viene ritrovato in una piazza, con un biglietto in mano che dice solamente che fino a quel momento ha vissuto presso un contadino che non può più occuparsene. Il protagonista delira, è allucinato, non parla quasi; ma si riprende, vuole vivere e vuole imparare, anche se a un certo punto dichiara che il mondo gli piace sempre meno.
Qui metafore e analogie si sprecano: il blogger "sbarca" sulla "piazza" di Internet, in un momento di cambiamento totale della vita, e nessuno sa nulla della sua identità. Chi è? Da dove viene? Cosa l'ha ridotto così? Come andrà a finire? Il nostro blogger si apre agli altri, scrive, inventa le sue storie, inventa un mondo perché quello reale non gli piace.
La vicenda fa molto scalpore nella Norimberga del secondo decennio dell'800 e l'opinione pubblica si divide su Kaspar: c'è chi lo ritiene uno spirito libero e rivoluzionario e chi invece pensa che sia un idiota, un minorato mentale.
Il protagonista del film muore in prigione dopo alcuni anni di stenti in un circo; e anche il blogger spesso ricade nel mondo reale, la sua costruzione non regge e deve rientrare nell'anonimato.
Fortunatamente non subisce lo stesso destino di Kaspar che, sottoposto ad autopsia dopo la morte, rivela di possedere un cervello molto più piccolo del normale.
(continua)

26 aprile 2006

Blog (parte quarta)

La foto è del geniale Hugh di gapingvoid
Riprendiamo le fila del discorso, questa volta affrontando non il tema “blog e identità”, ma “blog ed ego”. Lo affrontiamo a partire da Nietzsche, in particolare da una delle esortazioni che vengono da La gaia scienza. In questo testo il filosofo tedesco esorta a occuparsi dei casi eccezionali e non della scienza “quantitativa”. A occuparsi del diverso – se volete – e non del quotidiano. A partire da questa considerazione nicciana voglio ragionare su una questione che fa – o dovrebbe fare – problema. Quando un blog smette di essere un diario, o una interpretazione della realtà, o una finestra sul mondo per diventare il _luogo del delirio dell’io­_? E’ il blog, per qualche qualità intrinseca, un mezzo di amplificazione di quell’io “che non è più padrone in casa propria”, come diceva Freud? Esplorare i rapporti tra blog e ego non è ricerca di poco conto; il blog pare essere maschera più volte. La prima maschera è la “persona” (che in latino appunto significa maschera), poi abbiamo la maschera del blog, e questa è sempre presente, anche in coloro che non si costruiscono un’identità virtuale molto diversa da quella che percepiscono di se stessi. Chi poi costruisce un’identità apposita per il blog sovrappone alle altre un’altra maschera (o persona). Diviene quindi estremamente complicato sbrigliare questi nodi – che spesso non possono essere sbrogliati. Le cose si semplificano un po’ se a tenere il blog è qualcuno che conosciamo personalmente o del quale possiamo ricostruire buona parte della vicenda esistenziale perché persona pubblicamente nota. In questi particolari casi il nostro compito viene – parzialmente – facilitato. Naturalmente il compito diviene ancora meno difficoltoso se prendiamo ad esempio il blog di qualcuno che non sovrappone altre identità alla sua – magari si presenta anche con il suo nome “vero” – e se questo qualcuno è persona che conosciamo anche in altri contesti (non necessariamente fuori dalla rete) e quindi abbiamo la possibilità di aggiungere ai segnali, a volte impercettibili, che troviamo sul blog, altre manifestazioni a margine. Per sgombrare il campo a ogni possibilità di equivoco della lezione nicciana, diciamo quindi che il nostro percorso prende in considerazione – in primo luogo e non solo – i blog che si possono immediatamente ricondurre a una persona fisica. Di questi scartiamo quelli che sono manifestamente – almeno manifestamente – blog-diario personale, e che hanno il dichiarato intento di essere null’altro (senza alcun giudizio di merito) che la pagina dell’autore. Dal punto di vista del nostro modesto filo (rosso, va da sé) sono estremamente importanti quei blog che rimandano a una persona fisica, che si pongono come blog di contro/informazione, che hanno una – ahimé spesso inutilmente pretesa ed elementarmente implementata – visione del mondo che si riconduce direttamente a un’ideologia, o come sovente accade, a qualcosa che nella mente del blogger è vissuto come “ideologia”. Non uso il verbo “vivere” casualmente. Troppo spesso in questi “io” l’ideologia, lungi dall’essere una particolare modalità di interpretazione del reale e della storia, è confusa con la percezione di sé nel mondo. Divengono quindi le esperienze personali – spesso misere e dolorose – la chiave di volta che viene utilizzata a sostegno di un delirio sul reale. Come tutti i delirii, anche questi sono costruiti con quella che pare una logica stringente, percepita come un bisturi che opera una risistemazione della realtà che, almeno nel blog, diviene finalmente la “Realtà”, in un maiuscolo che vuole richiamare il filosofo del razionale. Il blog diviene quindi il luogo per eccellenza dedicato a una ricostruzione/interpretazione degli accadimenti reali, a maggior ragione, per eclatante esempio, quando questa ricostruzione è stata sonoramente bocciata dalla realtà stessa (per esempio il blog di qualche politico trombato in qualche elezione – non l’ultima perché troppo contigua nel tempo).
In questo caso allora il blog diviene il luogo per eccellenza dell’insulto e della diffamazione (non in senso giuridico) di coloro che sono percepiti – inutile dirlo, erroneamente – come competitivi e contendenti allo stesso premio: la pubblica opinione.
Ma torniamo all’io. Come potrebbe sopravvivere l’io, in un contesto che rivelasse l’inanità e l’inutilità del tentativo di riappropriarsi di un reale che l’ha respinto, come potrebbe prendersi cura di sé nel momento in cui comprendesse che il mondo reale l’ha seguito e lo “perseguita” anche nella virtualità? Virtualità nella quale il fallimento viene continuamente reiterato – come tormentata ferita aperta – dalla percezione che gli interventi sul blog non sono altro che ripetizioni di un tentativo di seduzione degli altri che viene continuamente frustrato? Come abbiamo detto nella seconda parte, l’immagine di noi che il mondo riflette va a costruire la nostra identità, segnandola indelebilmente. Questo è vero anche per coloro che tentano – pur mantenendo l’identità reale a stretto “contatto” da quella virtuale – di costruire un’immagine di sé che riscatti quella reale. Insomma, blog o no, un politico trombato resta un politico trombato. Con più di un accento patetico.

18 aprile 2006

blog (parte terza)

Si può continuare il nostro percorso su blog e identità (prima parte - seconda parte) cercando in prima battuta di comprendere quale sia il gioco identitario che si può svelare, quali siano le "regole" e fino a che punto si può dipanare il groviglio senza a nostra volta "entrare nel gioco". [E' mia opinione che si possa dipanare molto poco senza mettersi in gioco]. Una indagine del tutto empirica sembra rivelare che, a differenza di quanto accade per il resto del web, - che vede una maggiore presenza maschile - per quello che riguarda i blog ci sembra di notare una prevalente presenza femminile.
O, almeno, questo è ciò si nota. Ed è chiaro che l'osservazione a volte dice di più su chi osserva piuttosto che su chi è osservato. E allora diciamo che noto (e leggo) prevalentemente blog femminili, di donne mediamente colte, che vanno dai trenta ai cinquanta anni di età.
Il “mediamente colte” non vi tragga in inganno. Si tratta perlopiù di donne laureate, ma che rivelano all'analisi del loro blog una buona – non ottima – capacità di re-inventarsi inventando una realtà che potrebbe reggere alla prova dei fatti.
Dico “potrebbe reggere” perchè ci sono almeno due variabili difficili da tenere sotto controllo: le variabili tempo e spazio.
Analisi della variabile “tempo”.
Se il vostro blog non è una creatura estemporanea, ma lo seguite e lo aggiornate con costanza nell'arco di qualche anno, è assolutamente inevitabile lasciare indizi più che sufficienti a far risalire non solo al vostro nome e al vostro lavoro; non solo, offrirete anche la possibilità di ricostruire con sufficiente approssimazione la vostra vita “reale”, compresi eventuali figli, ex mariti, amanti estemporanei, fidanzati in fuga. In gergo “usenettiano” questa particolare operazione di ricerca si chiama "stalkerare". Stalkerare qualcuno significa cercare attraverso il web, sui forum, sui gruppi di discussione notizie, post, informazioni su qualcuno. E negli anni di informazioni sulla rete se ne lasciano moltissime, oserei dire che si lasciano quasi tutte le informazioni più importanti della propria vita. Dalle foto della mamma a quelle del raduno con gli amici bloggaroli, fino al matrimonio della cugina che ha messo l'album su yahoo photo o qualcosa del genere.
Insomma il tempo mina la “prima” identità del blogger, quella reale. Quella che è ritenuta l'identità “vera” a discapito di quelle virtualmente costruite in un'opera di social engineering al contrario: quanto sia vera questa identità “reale” è qualcosa da stabilire, anche attraverso l'analisi di quella “virtuale”.
D'altro canto il tempo fa crescere la profondità dei rapporti con le persone conosciute via rete e, a meno di essere stati sinceri fin dall'inizio, riesce sempre più difficile riuscire a scrivere un blog che sia allo stesso tempo coerente con le informazioni che hanno (o che possono trovare) coloro che ci seguono via rete e non susciti incomprensioni con coloro che sono divenuti una frequentazione reale (1).
Qui entra in gioco la seconda variabile: lo spazio. Lo spazio che le costruzioni virtuali e le persone che grazie ad esse interagiscono con noi.
(1) vedremo qualche esempio più avanti

06 marzo 2006

Blog (parte seconda)


Ci siamo lasciati qualche giorno fa con una prima parte che apriva il discorso su "blog e identità", prima di continuare è bene definire i termini: se per "blog" in parte l'abbiamo fatto, per "identità" la questione è aperta e spinosa assai, anzi Spinoza assai.
Il buon Baruch è uno dei miei numi olimpici, una fiaccola nel buio, assieme a Nietzsche (come si evince dal sottotitolo del mio blog), a Machiavelli e a qualcun altro che svelerò se continua la mia avventura di blogger.
Nel frattempo, sia Spinoza che Nietzsche in tema di identità e di ricerca della stessa sono certamente compagni illuminanti, non solo per quel che riguarda la loro produzione filosofica ma anche - e come potrebbe essere diversamente? - anche nelle vicende esistenziali.
Non ho intenzione di annoiarvi con lunghe dissertazioni intorno alla questione “identità”, considerato che è un problema, per molti versi, al centro del dibattito filosofico di questo secolo - e non solo, se diamo retta a Michel Foucault.
Diamo per acquisito, per il momento, che la costruzione identitaria ha a che fare con la definizione di sé e degli altri, con la ricerca di un'ancora del sé che in taluni casi – da non generalizzare – sconfina nella costruzione di un reale in cui sia possibile proiettare il male “fuori da sé”.
In questa accezione la costruzione di una identità che abbia, almeno formalmente, tutti i requisiti per “resistere” al mondo passa attraverso – in primo luogo – a una contrapposizione che permetta all'io di dare confini e limiti ben precisi al male e al dolore. Se questa contrapposizione viene vissuta come appartenente alla “polis”, diviene giocoforza necessario - perché il rischio, quasi una certezza, di perdersi è immensamente alto - proiettare male e dolore su chi viene strutturato come “ancora più inferiore” (perdonatemi l'italiano che grida vendetta).
Immaginate di appartenere a una minoranza che non viene percepita a prima vista come dominante, che so, l'universo femminile. [So bene che le cose non stanno in questi termini, ma qui vogliamo esaminare il punto di vista, la percezione, il vissuto di una identità costruita all'interno di un blog].
Immaginate quindi di appartenere a una minoranza di genere, quello femminile appunto. Immaginate di essere giovani donne nei primissimi anni 80; in un periodo in cui il mondo italico si divideva tra il rampantismo degli yuppies – che pagavano salatissimo in termini esistenziali la loro fulgida (?) immagine di successo – e quel poco di libertarismo rimasto degli anni '70, appena sfiorato per limiti anagrafici. Immaginate di essere quindi giovani donne, magari appartenenti a una minoranza all'interno di una minoranza; che so, donne e gobbe o donne e racchie o donne e nere.
A quel punto non siete più donne e qualcos'altro. Ma siete solo qualcos'altro: siete nere, siete gobbe, siete racchie. E basta. Niente e nessuno vi concederà mai un attimo di tregua, non potete mai dimenticare quella parte che ha preso il posto del tutto. E come una pianta costretta ad assumere le forma che il luogo in cui cresce le concede anche la vostra mente, anche la vostra sensibilità, anche il vostro “io” - quell'ospite in casa propria - assume la forma che il mondo vuole. (2. continua).

26 febbraio 2006

Blog (parte prima)

E’ ormai dalla fine degli anni 80 che internet, web, chat, e poi forum, gruppi di discussione e blog si prendono una porzione importante del mio tempo-vita. Così una decina di anni fa ho preso la decisione che – visto che ci “sprecavo” concentrazione ed energie – tanto valeva trasformare il tutto in qualcosa di produttivo. La prima occasione me la diede Pier Aldo Rovatti che decise di dedicare un numero monografico di autaut al mondo di Internet e così venne pubblicato il mio primo intervento, che aveva come oggetto le chat. A seguito di quello mi vennero chiesti un paio di interventi online su alcuni server francesi di controinformazione (oramai temo sepolti dall’oblio). Qualche anno dopo fu la volta dei gruppi di discussione. L'Università La Sapienza di Roma decise di dedicare una giornata di studi a Internet e mi chiese (grazie Marco d'Itri) una relazione sugli ng.
Ma veniamo al titolo del post.
In questo momento - diciamo da un paio d'anni - il mio interesse principale sono i diari online. Mi divertono e mi appassionano. Al punto che varie volte ho tentato di aprirne uno (stavolta mi pare con più successo delle altre); ma restano i blog altrui quelli più intriganti e costruttivi dal punto di vista della riflessione.
Ultimamente sono i blog che ho definito altrove [in un testo che verrà pubblicato credo prima dell'estate] "blog di inform/azione" con un gioco di parole dal sapore - vagamente - ironico/heideggeriano.
I blog di inform/azione (concedetemi una spiegazione ad usum delphini) sono quelli che si presentano in forma "mista" come diari personali e allo stesso tempo come veicolo di informazioni e commenti che non trovano nell’elaborato e maniacale spazio esistenziale del tenutario del blog (1) collocazione.

Mi spiego meglio. L’orizzonte del blog è, per la sua natura di diario che non può essere stravolta del tutto, un orizzonte autoreferenziale. Sul blog si descrive la propria giornata, si commenta un film, si narra la fine di un amore, si pubblicano le foto del gatto e della mamma. A tutto questo si aggiunge la possibilità di parlare con gli amici, di conoscere persone nuove, di elaborare una serie di rapporti che possono anche prendere consistenza nel mondo reale. Per tutti questi motivi – a cui se ne aggiungono altri non meno consistenti ma per i quali vi rimando alla edizione cartacea – quando uscirà – di queste riflessioni (che, vi avviso, saranno molto più “togate”) è del tutto irreale per esempio, pensare di mantenere un’identità virtuale totalmente disgiunta dall’identità reale (2).
Già questo tentativo, destinato inevitabilmente al fallimento, almeno nel corso del tempo – e tenete presente che esiste davvero un’altra percezione dello spazio e del tempo nella realtà digitale (3) – ci palesa un aspetto particolare dei tenutari di questo tipo di blog: una percezione distorta delle possibilità della rete.
La rete sarebbe un “luogo” che per la sua particolare concezione offre la possibilità di inventarsi un ruolo, una personalità, un compito.
E’ vero fino a un certo punto.
Se avete voglia di lasciare un commento al vetriolo (ma anche penalmente perseguibile) sicuramente avete la possibilità di farlo senza grossi rischi di essere scoperti. Un fake, una connessione al volo, un nick mai utilizzato prima e mai più utilizzato dopo. L’equivalente insomma, di suonare un campanello e scappare, se proprio proprio siete un po’ furbi e veloci non vi prenderanno mai.
Ma se cominciate a tenere un blog, ci scrivete con cadenza abbastanza regolare – diciamo un paio di volte alla settimana – e portate avanti questo diario per qualche anno sperando di non essere individuati qualcosa nella vostra mente non funziona.
E questo qualcosa rientra nella patologia, diciamo pure che avete una percezione gravemente alterata della realtà.
E’ come mettersi due volte alla settimana a suonare i campanelli della stessa strada.
Pensare che nessuno vi colga sul fatto o che il vostro passaggio non venga collegato al suono è alquanto irreale.
Di fatto, è la stessa psicologia – consentitemi l’esempio un po’ banale – che anima i serial killer nei film e nei romanzi; a un certo punto l’investigatore se ne esce sempre con la stessa frase: “Vuole attirare l’attenzione, spera che qualcuno lo fermi”.
Il meccanismo del blogger inform/ativo è la stessa. Si pone al centro della sua realtà, cerca di coinvolgere in questo centro il maggior numero di persone possibile e definisce il suo punto di vista sul reale come il “reale punto di vista”.
E si addentra via via in commenti e affermazioni sempre più razionalmente insostenibili, sempre più avviluppate e contorte su una realtà che ormai è certo di essere l’unico (l’unica) a comprendere. La lente del blog ha preso il sopravvento. Ormai non è più uno strumento ironico e duttile per aprire un’altra finestra dell’io e dell’identità, ma è divenuto il luogo di un’(altra) affermazione di sé fallita. Lo specchio del tempo e delle possibilità perdute.
(1. continua).

(1) Il richiamo al bordello è consapevolmente voluto e (probabilmente ci torneremo sopra)
(2) Vedi l’articolo sulle chat in autaut (non so se sia online però)
(3) IT/OT Off Reality in Katastrofè, marzo 2006