28 agosto 2006

Nuovi arrivi

Lei si chiama Musa (quella bianca), lui Tequila (quello nero). La mamma, Mira, la conoscete già e così abbiamo compreso perché quest'estate non c'è stato verso di farla entrare in piscina con il suo famoso tuffo volante. Entrava si, ma con molta calma.
Abbiamo anche rotto la tradizione familiare che voleva come novello adamo il più piccolo della tribù (che aveva scelto Torta e Titto come nomi).

Israele

Dal blog di rosalucsemburg un bell'articolo di Aldo Zargani.

23 agosto 2006

Europa unita

I francesi mandano - forse - duecento uomini; i tedeschi proprio non possono, per i russi dobbiamo comandare noi e gli spagnoli non rispondono al telefono.

21 agosto 2006

Genitori

Mi perdonerete se non metto link, ma ho letto le notizie sui giornali di oggi e con questa connessione (dieci minuti solo per aprire la pagina di gmail) non mi metto certo a cercarle in rete.
Allora, il padre del ragazzo ammazzato a Gerusalemme perdona l'assassinio del figlio e dichiara che il ragazzo è stato ucciso per errore. Immagino che se fosse stato ammazzato un ebreo - ché tale pare fosse il proposito - non ci sarebbe stato un errore.
L'altra è la madre della ragazza pakistana uccisa dal padre che pare abbia dichiarato che la ragazza non era una buona pachistana. Il che immagino che spieghi, secondo la signora, l'omicidio.
Ora, certamente ci sono figli che, come questi due, sono davvero poco amati, ma almeno la notizia non appare sulle prime pagine dei giornali.
Ma non gli poteva capitare un'erika qualunque a questi due?

18 agosto 2006

UMTS

Il mare sembra inventato. La spiaggia pure.
Ma mi hanno fregato. GPRS.
Da incubo.

17 agosto 2006

Viaggio

Una notte alla guida mi ha riconciliato con il mondo. Adoro guidare, lasciarmi alle spalle il lavoro e la vita quotidiana.
L’auto, meno il treno, per nulla l’aereo, mi regala la sensazione della distanza, con il panorama che cambia lentamente, le soste che sottolineano il cambiamento dell’accento e della cadenza.
Taranto alle cinque di mattina offre solo la visione delle ciminiere e delle raffinerie, con lingue di fuoco che fuoriescono dai cantieri.
Lasciata la città finalmente l’alba mi regala il mare.
In macchina dormono tutti.
Apro il finestrino e accendo una sigaretta.

Gunther Grass

Ormai hanno detto tutto – ma io sono concorde con Joachim Fest, repubblica di oggi.
Aggiungo solo che nella vita a volte accade qualcosa che cambia tutto il resto.
Se Grass a diciassette anni avesse perso una gamba oggi a sessanta anni di distanza sarebbe ancora uno storpio.
E sostenere che sessanta anni cambiano qualcosa, che nel corso del tempo quella mutilazione possa annullarsi, sarebbe delirante.

16 agosto 2006

Ho deciso

Ho bisogno di un'altra settimana di vacanza.
Raccolgo quello che serve (cellulare, pc portatile) verifico la copertura UMTS e parto stasera per la Puglia.
Mi fermo un po' prima di Gallipoli (così, per la precisione).

14 agosto 2006

petizione

Questa petizione on line, che io condivido e che io ho firmata, può essere firmata al link sotto indicato

http://www.petitiononline.com/IAUN1/petition-sign.html?

Accludo il testo della petizione, prima nella mia traduzione italiana, e poi nell'originale inglese

Alle Nazioni Unite

La guerra degli Hezbollah è stata causata da un'organizzazione terroristica che ha sequestrato lo stato sovrano del Libano, un membro delle Nazioni Unite. Gli Hezbollah, con l'assistenza di Iran e Siria, hanno disobbedito alla risoluzione 1559 del Concilio di Sicurezza che, tra le altre cose : "Esige la smobilitazione ed il disarmo di tutte le milizie, libanesi e non libanesi".

Hezbollah ha dato inizio a questa guerra contro lo Stato di Israele, uno stato sovrano e democratico, ed un membro delle Nazioni Unite. Hezbollah non è nè uno stato Sovrano, nè un'organizzazione ufficiale appartenente ad uno stato sovrano. Il Libano è stato in qualche misura complice della sua perdita di sovranità perchè non è riuscito a porre in atto misure per proteggerla e non è riuscito a rivolgersi al Concilio di Sicurezza per essere aiutato. Il Consiglio di Sicurezza ha trascurato di adempiere ai suoi obblighi. Ha permesso ad Hezbollah di fortificarsi nel Libano del Sud e di coinvolgere nella sua attività terroristica la popolazione libanese.

Come conseguenza di questa guerra iniziata da Hezbollah sia Israele che il Libano hanno sofferto molte perdite di vite ed estesi danni alle strutture. Perciò la comunità mondiale, che ha guardato standosene in disparte mentre Hezbollah si armava e si preparava alla guerra, ha il preciso dovere di fornire riparazioni per i danni e le distruzioni causati da quest'aggressione che ha avuto origine dal territorio libanese. Noi perciò chiediamo che questa comunità di faccia carico dei costi necessari per la ricostruzione in Israele, oltre che nel Libano. Israele, che si era ritirato dal Libano alcuni anni fa, è stato costretto ad ingaggiarsi in una guerra difensiva per salvare le vite dei suoi concittadini. Noi domandiamo inoltre che la comunità internazionale, attraverso le Nazioni Unite, chieda un rimborso dei danni da Siria ed Iran che controllano gli Hezbollah

Sinceramente

(firma)


To: United Nations
The Hezbollah War was brought on by a terrorist organization that hijacked the sovereign state of Lebanon, a member of the United Nations. Hezbollah, with the assistance of Iran and Syria, defied Security Council Resolution 1559 which, among other things, "Calls for the disbanding and disarmament of all Lebanese and non-Lebanese militias".

Hezbollah launched this war against Israel, a democratic and sovereign state, and a member of the United Nations. Hezbollah is neither a state nor an official body belonging to one. Lebanon was to some degree an accomplice to its own loss of sovereignty by failing to act to protect it and failing to return to the Security Council for help. The UN Security Council failed to discharge its obligation. It allowed Hezbollah to entrench itself in Southern Lebanon and to spread its terror to the people of Lebanon.

Both Israel and Lebanon have suffered great loss of life as well as widespread physical damage as a result of this war started by Hezbollah. It is, therefore, incumbent upon the world community, which stood aside while Hezbollah armed and trained for war, to provide reparations for the damage and destruction brought on by the aggression which sprang from Lebanese territory. We therefore call upon that community to bear the cost of rebuilding Israel in addition to Lebanon. Israel, which had withdrawn from Lebanon some years ago, was forced to engage in a defensive war to save the lives of its citizens. We further call upon the world community, through the United Nations, to seek indemnification for the damages from Iran and Syria the controllers of Hezbollah.



Sincerely,

Tragica inutilità

Anche io, come Eugenio Mastroviti, sono convinta che l'uccisione della ragazza di Brescia abbia poco a che vedere con la religione e molto con il potere (e l'identità).
E aggiungo che la reazione del padre del ragazzo ucciso a Gerusalemme, che ha dichiarato che il colpevole dell'assassinio di suo figlio non è colui che l'ha ucciso ma la situazione in cui versa il paese mi pare molto vicina a questa interpretazione dei fatti.
I padri. L'uno ha ucciso (forse, aspettiamo il processo) per non perdere il potere l'altro giustifica l'uccisione del figlio per non abdicare alla sua interpretazione ideologica del mondo.

Che i figli siano da sempre merce di scambio, affermazione di potere, movente economico è storia antica e anche n po' banale da ricordare. Quello che è meno ovvio è che l'abbiamo dimenticato.
Forse l'unica lezione degli anni sessanta che non dovevamo scordare.

12 agosto 2006

Cervia

Domani mattina sono a Cervia.
Per la rassegna Cervia la spiaggia ama il libro presento il bel libro di Eleonora Buratti, Il terzo desiderio, SPEB edizioni.

11 agosto 2006

11 agosto

Da questa parte del monitor oggi si compiono gli anni.

09 agosto 2006

Test


Via Eugenio Mastroviti un test delizioso. (ma di Eugenio leggete anche questo).

Il mio risultato - devo dire azzeccato - è questo:

You are one of life’s enjoyers, determined to get the most you can out of your brief spell on Earth. Probably what first attracted you to atheism was the prospect of liberation from the Ten Commandments, few of which are compatible with a life of pleasure. You play hard and work quite hard, have a strong sense of loyalty and a relaxed but consistent approach to your philosophy.

You can’t see the point of abstract principles and probably wouldn’t lay down your life for a concept though you might for a friend. Something of a champagne humanist, you admire George Bernard Shaw for his cheerful agnosticism and pursuit of sensual rewards and your Hollywood hero is Marlon Brando, who was beautiful, irascible and aimed for goodness in his own tortured way.

Sometimes you might be tempted to allow your own pleasures to take precedence over your ethics. But everyone is striving for that elusive balance between the good and the happy life. You’d probably open another bottle and say there’s no contest.


La sinistra e l'Onu

Su it.politica.sinistra in un articolo intitolato proprio così "La sinistra e l'Onu" l'estensore scrive:

"Gli Usa non possono più far parte dell'ONU: è questa l'unica amara realtà.
Ma i nostri governanti tacciono come pure gli altri. ma siamo diventati tutti nazisti?
e i DS cosa fanno? sono diventati DC? Tutto è lecito per il potere?
Possiamo accettare queste cose? Bisogna che la base alzi la voce e richiami all'ordine chi ci governa.
Sono stai votati co i nostri voti e non con quelli di Isarele o degli Usa.
Vogliamo giustizia e democrazia"

Dunque, per il nostro articolista gli USA non possono far parte dell'Onu e chi non si batte contro la loro esclusione è un nazista.
Ora, in poche righe sono mescolate una serie di "idiozie politiche" che riesce difficile financo capire da quale cominciare.
In primo luogo l'Onu - è ovvio, ma è bene ricordarlo - non è l'unione mondiale degli stati democratici ma riflette l'assetto politico del mondo uscito dalla II Guerra Mondiale. Come tale assetto sia ancora imprescindibile per comprendere quello che accade ancora oggi è provato anche dal fatto che nessuno cerca seriamente di mettere in discussione la sua struttura.
E - purtroppo - non è scritto da nessuna parte che le dittature non possono far parte dell'Onu.
(non si riesce nemmeno a tenerle fuori dalle Olimpiadi)
Ma questa incomprensione/ignoranza non è tipica di una parte della sinistra italiana.
(In questo caso, offro ai miei tre lettori come fatto scontato che l'estensore del post si autocollochi a sinistra nel nostro schieramento politico).
No, quello che mi pare tipico di parte della sinistra italiana è che l'antiamericanismo d'accatto è talmente imperante che si chiede l'esclusione dall'Onu degli Stati Uniti in nome della giustizia e della democrazia. Il nostro interlocutore non è nemmeno sfiorato dall'idea che prima degli Stati Uniti ci siano decine di stati che, in nome di una Onu intesa come organizzazione degli stati democratica, (tutta da costruire) dovrebbero essere immediatamente espulsi.
Che molti di questi stati e governi siano appoggiati dagli Stati Uniti è un altro di quei fatti che non ha nessuna influenza su questo tipo di opinioni.
E' davvero con questa "sinistra" superficiale e carlona, incapace di elaborare un pensiero politico degno di questo nome che dobbiamo convivere e lottare? Abbiamo già perso.

Viene voglia di tirar fuori il vecchio Marx, tra struttura e sovrastruttura, per cercare di spiegare - in forma molto elementare - il rapporto tra forme ideologiche e sistemi di produzione, ma sarebbe probabilmente tempo perso. Forse è meglio provare ad agire come se certa "sinistra" non esistesse e muoversi contro una certa "sinistra" come se non ci fosse un capitale globalizzato.

Taccio per carità di patria (la sinistra appunto) sull'uso grottesco della definizione "nazista".

08 agosto 2006

Mastroviti

Come al solito, in poche righe, riesce a centrare punti focali.
Beata ingenuità.

07 agosto 2006

Come stanno i palestinesi in Libano?

Dal blog di Rolli:

L'inferno dei palestinesi sono gli arabi

Mentre affermano di combattere Israele in nome e per conto della causa palestinese, i libanesi mantengono i rifugiati nei campi profughi - i peggiori di tutto il Medio Oriente - in condizioni pessime, privi di diritti e di assistenza.
Ai rifugiati palestinesi in Libano non è concessa la cittadinanza, nonostante siano presenti sul territorio ormai da decenni, tantomeno l'accesso al sistema sanitario - invece concesso ad altri stranieri - o alle scuole statali.
Non possono essere proprietari di immobili o terreni, nè esercitare 73 tipi di mestieri, tra i quali medicina, ingegneria, legge); dal 1998 il governo libanese vieta, in molti insediamenti, l'introduzione di materiali da costruzione, utili per riparare le baracche ormai ridotte a tane. L'acqua non è potabile e le fogne sono a cielo aperto, tra le baracche
Nessun deputato di Hezbollah in Parlamento, ha ha mai posto all'ordine del giorno la situazione vergognosa dei campi profughi palestinesi in Libano
All'interno, la situazione dei profughi palestinesi tra i fratelli arabi, raccontata in un'inchiesta di Francesco Ruggeri.

potete leggere il resto direttamente qui

André Glucksmann, Il peso dei morti non è mai lo stesso

Dal sito del Corriere della Sera

L’indignazione di tanti indignati m’indigna. Per l’opinione pubblica mondiale certi morti musulmani pesano quanto una piuma, altri tonnellate. Due pesi, due misure. Il massacro quotidiano di civili a Bagdad è relegato alla rubrica delle brevi, mentre il bombardamento che uccide 28 abitanti a Cana è elevato a crimine contro l’umanità e solo spiriti rari come Bernard-Henri Lévy e Magdi Allam se ne meravigliano.
Perché i 200 mila massacrati del Darfur non suscitano un quarto delle reazioni d’orrore risvegliate dalle vittime 200 volte meno numerose in Libano? Poiché sono musulmani a uccidere altri musulmani, bisognerà credere che l’assassinio non conti agli occhi delle autorità coraniche, né per la cattiva coscienza occidentale? La spiegazione non regge, poiché l’omicidio non riveste maggiore importanza quando è l’armata russa, cristiana e benedetta dai Papi, a radere al suolo la capitale dei musulmani ceceni (Grozny, 400 mila abitanti) e uccidere decine di migliaia di bambini. Il Consiglio di Sicurezza non indice riunioni su riunioni e l’Organizzazione degli Stati islamici volge piamente lo sguardo altrove. Ne consegue che solo il musulmano ucciso dagli israeliani vale l’indignazione universale.
Bisognerà credere che Ahmadinejad dia voce a sentimenti covati in segreto dall’opinione pubblica mondiale? Eppure tante coscienze occidentali oltraggiate dai bombardamenti in Libano si proclamano doppiamente indignate se sospettate di antisemitismo. Tenderei a dar loro credito, non pensiamo che il pianeta intero sprofondi nella paranoia antigiudaica! Il mistero si infittisce ancora. Perché tale emiplegia? Perché l’indignazione mondiale monta quando si tratta di bombe israeliane? Le immagini delle devastazioni in Libano—che sconvolgono assai più degli affamati del Darfur e delle macerie in Cecenia—sono implicitamente sottese da una geopolitica surrealista. Chi si sofferma sulle cronache di Cana o Gaza non conta soltanto i feretri dei brutti giorni, gli infelici che si seppelliscono paiono circonfusi di un’aura di annuncio fatale, ignota alle centinaia di migliaia di cadaveri africani o caucasici.
Quanti esperti individuano ormai da decenni nel conflitto mediorientale il cuore del caos mondiale e la chiave della sua risoluzione? Quale diplomatico tralascerà di ripetere dieci volte e non una che le porte dell’inferno e il Sesamo del ritorno all’armonia internazionale stanno a Gerusalemme? Unostesso copione fisso nelle menti del XXI secolo vuole che tutto si giochi sulle rive del Giordano. Scenario «duro»: finché si contrapporranno 4 milioni di israeliani e altrettanti palestinesi, 300 milioni di arabi e un miliardo e mezzo di musulmani saranno condannati a vivere nell’odio, nel sangue e nell’oppressione. Versione «morbida »: basterà una qualsiasi pace, a Gerusalemme, perché a Teheran, Karachi, Kartum e Bagdad gli incendi si plachino e arretrino dinanzi all’armonia universale. I nostri saggi sono diventati folli? Teorizzano sinceramente e seriamente che in assenza del conflitto israelo-palestinese non si sarebbe verificato nulla di grave, non avremmo avuto la sanguinaria rivoluzione di Khomeini, né le spietate dittature dei partiti Baath siriano e iracheno, né il decennio del terrorismo islamico in Algeria, né i Talebani in Afghanistan, né gli sciami di alfieri di Dio senza fede né legge?
Un’ipotesi triste e contraria, di rado evocata, è ancor più verosimile: qualsiasi cessate il fuoco intorno al Giordano resta intrinsecamente instabile finché il palazzo, la strada, buona parte dell’intellighentsia e gli stati maggiori musulmani serberanno intatta la passione antioccidentale. La «mondializzazione» si accompagna immancabilmente a reazioni di rigetto spesso dure, talvolta crudeli. Non occorreva esistesse, dal 1947, l’entità sionista per infiammare l’antioccidentalismo germanico da Fichte a Hitler, l’antioccidentalismo russo che senza sosta è risorto sotto gli Zar come sotto Stalin e ormai Putin. Solo un ingenuo può supporre che la volontà di potenza iraniana, che attinge la sua forza d’urto dalla rivoluzione khomeinista, rintracci nella «questione ebraica » altro che un pretesto a jihadizzare il mondo intero. Una volta cancellata Israele, chi crede che la rivoluzione verde festeggerà il trionfo deponendo le armi? La geopolitica della cattiva fede che consacra il Medio Oriente perno dell’ordine mondiale è diventata la religione dell’Unione europea, la fede di infedeli e poco credenti d’Occidente.
I pensatori postmoderni hanno affermato a torto la fine delle ideologie mentre navigavamo ancora in piena illusione ideologica, dopo aver barattato la speranza fallace della lotta finale con la predicazione angosciata di una catastrofe non meno assoluta e finale. Gerusalemme non è il centro del mondo ma il presunto centro della fine del mondo. La nostra funesta fantasmagoria si nutre di premonizioni apocalittiche. A forza di invocarla, si finirà per credere alla fumosa guerra di civiltà. E a forza di prevederla, la si farà, secondo il metodo ben reso nell’inglese self fullfilling prophecy, il pronostico che si conferma da sé. Il bombardamento degli abitati israeliani con missili del Partito di Dio dà forza alle promesse di annientamento del Padrino iraniano. Tuttavia, sottolinea con ironia Clausewitz, non è l’aggressore ad avviare il conflitto ma è lui a decidere di fermare l’aggressione. Dunque Israele è necessariamente colpevole. Circostanza aggravante: colpevole di una fine del mondo della quale tutto il mondo farnetica. Dalla geopolitica surrealista al delirio, la china è scivolosa.
07 agosto 2006

Foto manipolate dalla Reuters

A quanto pare, non soddisfatti dell'entità dei bombardamenti veri, alla Reuters se li inventano con photoshop.
Da reporters.

Ultimi acquisti

Elisabeth Young-Bruehl, Hanna Arendt. Una biografia,

Irène Némirovsky, Suite francese,

04 agosto 2006

I tg italiani

Mi piace, in questo momento, riproporre alla vostra attenzione un articolo, apparso qualche tempo fa sul blog italiano per il Darfur.

Così, tanto per ricordare cosa succede nel mondo mentre il tg3 intervista deputati di Hezbollah.

01 agosto 2006

Vidal-Naquet

Le Monde di ieri
di Nicole Lapierre:


"L'historien Pierre Vidal-Naquet est décédé dans la nuit de vendredi à samedi à l'âge de 76 ans, à l'hôpital de Nice, ont annoncé dimanche 30 juillet les éditions La Découverte. Il était dans le coma depuis lundi à la suite d'une hémorragie cérébrale".
Avec la mort de Pierre Vidal-Naquet, vendredi 28 juillet, à l'hôpital de Nice, des suites d'une hémorragie cérébrale, la cité s'assombrit. Car ce n'est pas seulement un grand historien que l'on perd, c'est aussi un recours et un repère : une conscience morale, un chercheur épris de justice et de vérité, une figure exemplaire de l'intellectuel engagé. En ces temps où la pensée trop souvent s'isole et se replie, sa voix va nous manquer, nous le savons déjà. Et il y a du désarroi à devoir parler au passé de cet homme d'érudition et de passion, porté d'un même élan vers l'histoire, la mémoire et les urgences du présent.

De l'Antiquité à l'actualité, d'Athènes à Jérusalem, d'Alger à Auschwitz, Pierre Vidal-Naquet a mené travaux savants et combats militants en cherchant obstinément à dire le vrai. "Je suis un homme passionné qui s'engage, doublé d'un historien qui le surveille de près, enfin, qui devrait le surveiller de près", disait-il, sans dissimuler la difficulté qu'il y avait à concilier ainsi deux êtres en lui. Double, il l'était par tempérament ; son ami Jean-Pierre Vernant le décrit "excessif parfois dans ses prises de position, et lucide, critique par rapport à lui-même, aux extrêmes dans ses attitudes et mesuré, centriste dans sa réflexion".

Double également dans ses attachements à la France des valeurs républicaines et au destin juif. Et aussi dans sa manière de travailler sur des "couples d'oppositions", en reliant le mythe et la tragédie, la chasse et le sacrifice, les systèmes de pensée et les formes de sociétés.

Double, enfin, dans son existence même, prise entre le feu de l'action et le recul de la réflexion. Cette dualité, qui irriguait sa vie et lui donnait cette ouverture au monde déjouant les spécialités et les identités clôturées, prenait sa source dans une longue généalogie familiale.

Pierre Vidal-Naquet est né le 23 juillet 1930, à Paris, au sein d'une famille de la bourgeoisie juive assimilée, profondément républicaine et résolument patriote. Il était le premier enfant de Lucien, avocat parisien, et de Margot, issue d'une vieille famille comtadine. Des deux côtés, une
lignée de Français déjudaïsés qui n'avaient pas, pour autant, renié leurs origines.

Moïse Vidal-Naquet, son trisaïeul, marchand de vin à Montpellier et responsable consistorial, écrivait dans L'Echo du Midi du 7 mai 1843 : "Au temple ou à l'église, l'on est juif ou chrétien ; dans les actes de la vie politique, l'on doit être français avant tout." Edmond, son grand-père,
avocat lettré et mélomane, fut un farouche dreyfusard, comme son grand-oncle Emmanuel, personnage aux multiples activités professionnelles et politiques (banquier, économiste, journaliste, membre du premier comité de la Ligue des droits de l'homme...). A l'évidence, une figure de référence."

*CONTRE LA RAISON D'ETAT*

C'est à 11 ans, en pleine guerre, que le jeune Pierre apprend ce que fut cette lutte, pour la justice et contre la raison d'Etat, menée au nom d'une haute idée de l'honneur de la France : "Toute ma vie a été marquée par le récit que m'a fait mon père à la fin de 1941 ou au début de 1942 de
l'affaire Dreyfus."

La famille est alors réfugiée à Marseille. Les temps sont menaçants, mais de l'inquiétude croissante des parents, du sentiment de Lucien notant qu'il "ressent comme Français l'injure qui lui est faite comme juif", des contacts pris avec la Résistance, les enfants, protégés et insouciants, ne savent rien. Deux ans plus tard, le 15 mai 1944, c'est la "brisure" quand Lucien et Margot sont arrêtés, puis "l'attente", lancinante et vaine après leur déportation à Auschwitz. L'ombre portée de ce drame ne se dissipera jamais.

Orphelin au sortir de l'adolescence, il revient à Paris, termine ses études secondaires et entre en hypokhâgne à Henri-IV. C'est là, en 1947-1948, qu'il prend la décision de "se consacrer à l'histoire". Les classes préparatoires, puis la Sorbonne, ces années de formation sont celles d'une vie intellectuelle intense, où il découvre la politique, s'éprend de littérature, de théâtre et de poésie. Celles, en même temps, où se nouent d'indéfectibles amitiés. Avec le futur indianiste Charles Malamoud, c'est "un coup de foudre". Malamoud est alors communiste, l'attraction du PC est "écrasante", Vidal envisage d'adhérer, sous réserve de "faire de l'opposition à Staline". Impossible évidemment!

Cet intransigeant n'est pas fait pour la discipline de parti. L'indépendance est dans les revues. Avec Pierre Nora et d'autres, il lance Imprudence, un titre qui claque tel un défi, trois numéros seulement, mais l'un d'eux lui vaut une lettre de René Char, avec ces mots : "Tenez votre liberté et surveillez vos illusions, vous n'en serez que plus profond." Sous le signe de Char et celui du jeune Péguy se précise une aspiration. Entre Jaurès et Platon s'affirme une vocation.

Au printemps 1955, il obtient son agrégation et, l'automne suivant, est nommé professeur au lycée Pothier d'Orléans. La guerre d'Algérie entre dans son douzième mois, un nombre croissant de jeunes Français sont jetés dans la "sale guerre" et, sur les premiers intellectuels exprimant leur opposition, les arrestations commencent à tomber. Celle de l'universitaire André Mandouze, le 9 novembre 1956, le fait "entrer dans l'action". Contre cette guerre coloniale qui déshonore son pays, il mobilise dès lors toute son énergie : il faut rompre le silence, alerter les consciences !

Quand son vieil ami de lycée, l'historien Robert Bonnaud, lui raconte les massacres perpétrés par l'armée française, Vidal l'exhorte à témoigner, porte son texte à la revue Esprit, qui le publie en 1957, et s'attend à un immense scandale. Il n'en est rien, c'est le début d'un long combat. La même année, il devient l'un des principaux animateurs du comité Maurice Audin, du nom de cet assistant de mathématiques à la faculté des sciences d'Alger, arrêté le 11 juin 1957, déclaré "évadé" le 21 et, en réalité, tué par les militaires.

En 1958, il publie, aux Editions de Minuit, le dossier de L'Affaire Audin, une pièce à conviction contre la censure et le mensonge. Puis, avec le même acharnement sur les faits, il anime la revue Vérité-Liberté. Suspendu d'enseignement en 1960 (il est alors assistant à Caen) pour avoir signé le Manifeste des 121 sur le droit à l'insoumission, il milite en "permanent",
multipliant articles et interventions publiques.

Ce qui le pousse à se mobiliser tout entier ? Une exigence à la fois morale et politique et une profonde indignation dans laquelle résonne l'écho d'épreuves anciennes : son père a été torturé par la Gestapo et l'affaire Audin, qui rappelle le montage mensonger de l'affaire Dreyfus, est aussi l'histoire d'une disparition, qui évoque celle de ses parents. Au fond de son "engagement total", il y a une dette à l'égard du passé que le présent doit honorer. Elle est nôtre désormais : ce que l'on sait sur la torture dans la République, sur les forfaitures de la raison d'Etat, sur ces
ferments de totalitarisme nichés dans l'apparente quiétude démocratique, on le sait, pour l'histoire et l'avenir, grâce à lui.

Avec la fin de la guerre d'Algérie, en mars 1962, Vidal-Naquet revient à la pensée grecque, au CNRS d'abord, puis à la VIe section de l'Ecole pratique des hautes études, devenue en 1975 Ecole des hautes études en sciences sociales, où il enseignera jusqu'à sa retraite, en 1997.

La Sorbonne et ses "dévots d'une Grèce immortelle et éternelle" n'est pas faite pour cet homme rétif à tous les dogmes. Son parcours sort des sillons préétablis : point de thèse ni de maître ouvrage, mais des essais qui renouvellent l'approche de la culture hellénistique. Ces travaux ne le conduisent pas pour autant à délaisser le présent. Il est de ceux qui lancent, en novembre 1966, le comité Vietnam national, qui dénoncent le coup d'Etat des colonels, à Athènes, en avril 1967, ou que l'on retrouve en Mai 68 heureux de sentir passer un "souffle de liberté".

*DESTIN JUIF*

C'est aussi à partir de la fin des années 1960 que Vidal-Naquet va multiplier prises de position et réflexions sur le destin juif. Côté engagement, après la victoire israélienne de 1967, il avance, dans Le Monde, l'idée d'une paix fondée sur l'existence de deux Etats, et il ne cessera ensuite de prôner un rapprochement israélo-palestinien.

Son dernier acte public est la signature d'un appel intitulé "Assez !" à propos du Proche-Orient, paru dans Libération du 27 juillet au nom du collectif "Trop c'est trop". "A l'opposé de la logique guerrière, nous pensons que des victoires militaires ne garantissent pas l'avenir d'Israël",
écrivent les sept signataires, avant de conclure : "Assez de cette course effrénée vers l'abîme."

Côté savant, en étudiant La Guerre des Juifs de Flavius Josèphe - qui témoigne de la confrontation entre l'hellénisme et le judaïsme -, il découvre une figure du lointain néanmoins familière : Josèphe, un homme à la croisée des cultures, et un "intermédiaire", comme Vidal-Naquet lui-même voulut l'être "entre les Arabes et les Juifs". Par ailleurs, à travers
plusieurs textes autobiographiques., il revisite l'histoire de ce franco-judaïsme dont il est issu. Et, dans de nombreuses préfaces à des ouvrages sur le génocide et les camps, il éclaire les rapports entre la mémoire, le témoignage et l'histoire. Enfin, contre les négationnistes,
Assassins de la mémoire, il mène avec l'ardeur du militant et la rigueur de l'historien un combat exemplaire.

Pierre Vidal-Naquet est mort et les temps sont plus sombres. Mais il nous reste le sens de sa vie intense, de ses engagements en conscience, de sa passion historienne tendue vers une vérité dont il savait qu'elle ne pouvait être qu'un horizon. On a envie de dire qu'avec lui, et après lui, ses combats continuent : le mensonge et l'injustice ne passeront pas.

*Bibliographie*

L'Affaire Audin (Ed. de Minuit, 1958).
La Raison d'Etat (Ed. de Minuit, 1962).
Clisthène l'Athénien, avec Pierre Lévèque, (Belles Lettres, 1964).
La Torture dans la République (Ed. de Minuit, 1972).
Mythe et tragédie dans la Grèce ancienne, avec Jean-Pierre Vernant (éd.
Maspero, 1972).
Les Crimes de l'armée française (éd. Maspero, 1975).
Le Chasseur noir (éd. Maspero, 1981).
Les Assassins de la mémoire (La Découverte, 1987).
Les Juifs, la Mémoire et le Présent (La Découverte, 1991).
La Grèce ancienne, avec Jean-Pierre Vernant, (3 vol., Seuil, 1990-1992).
Mémoires, I et II (Seuil/La Découverte, 1995-1998).
L'Atlantide. Petite histoire d'un mythe platonicien (Belles Lettres, 2005)."

Vidal-Naquet

Il mondo è un luogo più povero e triste. E' morto Pierre Vidal-Naquet.
Per chi non l'avesse ancora fatto suggerisco di leggere almeno Il cacciatore nero
e, se lo trovate, Gli assassini della memoria, Editori Riuniti.