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13 dicembre 2006

Scrittura e gioventù

Questo post della profe mi colpisce in un punto veramente doloroso. Qualche (ehm...) anno fa, mentre ero tutta intenta nella redazione della tesi di laurea, mollai tutto per qualche mese per scrivere un romanzo giallo. La scelta di genere era un po' un pretesto per raccontare alcune cose di questa città che non mi piacevano molto.
Il destino volle che conoscessi in quel periodo, per puro caso, il decano dei giallisti bolognesi che - cortese e disponibilissimo - lesse il dattiloscritto e mi suggerì di portarlo alla redazione di una casa editrice cittadina.
Questi mi richiamarono dopo un paio di settimane. Il responso fu:
pubblicabile.
A patto, però, di cambiare qualche tratto ai protagonisti, troppo riconoscibili per il loro ufficio legale, e di mutare il finale, anzi il colpevole. Quel colpevole immaginato da me non era proprio possibile passarlo.
Rifiutai.
Mi dissero che si trattava di un paio di settimane di lavoro al massimo, che mi avrebbero aiutato, ma io mi schermai dietro la storia delle tesi da finire e declinai l'offerta.
Uscii dalla casa editrice molto contenta per la verità, pensando che tutto sommato per essere il primo tentativo l'esito era stato assolutamente inaspettato e delizioso.
E che tutto quello che mi avevano detto fino a quel momento, che pubblicare era difficilissimo se non impossibile, si era rivelato falso. Non l'avevo forse provato di persona?
Ovviamente, dopo quell'occasione non ne ho avute altre e per quel che riguarda la narrativa non ho mai pubblicato niente.
A pensarci adesso ho ancora la tentazione di tornare indietro e prendermi a sberle da sola.