Visualizzazione post con etichetta etica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta etica. Mostra tutti i post

26 ottobre 2009

Berlusconi e Marrazzo

La vicenda Marrazzo terrà banco come e più di quella di Berlusconi, ma tra le varie posizioni che sono state prese mi pare che manchino un paio di riflessioni.
Possiamo sostanzialmente sintetizzare le varie opinioni in questo modo:
da destra:
1. la vita privata del premier è vita privata che nulla ha a che vedere con la vita politica;
2. è un complotto
da sinistra le cose appaiono leggermente più complicate e andiamo da:
1. la vita privata di Berlusconi è vita privata, dobbiamo batterlo politicamente, e chi sanziona i suoi comportamenti privati è un moralista
a
2. la vita privata di Berlusconi sarebbe privata se non sistemasse le donne con cui si accompagna con cariche pubbliche e se non sponsorizzasse opiniono politiche (vedi family day) del tutto incompatibili con le pratiche private
fino a:
3. è un disgustoso puttaniere maschilista.

Mi paiono opinioni - tutte - estremamente superficiali, che non colgono quali sono i termini della questione. Che sono parecchio più complicati e che chiamano in causa categorie e ragionamenti piuttosto trascurati; in breve, possiamo porre il problema in altre determinazioni, estremamente più pregnanti - a parer mio - e che portano a conseguenze ben più interessanti.

In una discussione in reallife sul caso Marrazzo mi sono ritrovata a sostenere l'opinione che, indipendentemente da ogni considerazione etico-morale sulla pratica di pagare prestazioni sessuali, quello che mi stupiva era l'incapacità di controllo pulsionale. Sei un uomo pubblico, ricopri una carica pubblica, in un paese ritenuto (non a torto, ma non per queste cose) sessuofobiche, e se sei incapace di controllare le tue pulsioni questo porta a due considerazioni:
a)manchi di intelligenza sociale, perchè sai benissimo che se ti beccano sei un uomo finito
b)i tuoi elettori possono anche fregarsi di chi, dove e come trasgredisci, perchè -beati loro - non sono moralisti, ma dovrebbero essere interessati al fatto che sei un uomo incapace di tenere sotto controllo le pulsioni. E che sei disposto a rischiare la rovina personale per soddisfarle.
A mio modo di vedere questo vale sia per Berlusconi che per Marrazzo, indipendentemente dalle scelte di genere. Trovo che sia estremamente pericoloso che chiunque abbia dei problemi di questo genere occupi posizioni di potere.
A questa che mi parevano considerazioni già abbastanza pessimistiche Candide ha replicato sinteticamente, con una buona dose di intelligenza politica, che in realtà chi fa la scalata al potere, riuscendoci, lo fa proprio per poter soddisfare le sue pulsioni; che quello che accomuna Berlusconi e Marrazzo è proprio una concezione del potere come posizione che possiede l'intangibilità; si cerca di diventare potenti con la convinzione che il potere sia quello feudale, e che quindi al potere si accompagni la possibilità di dare libero sfogo ai proprio comportamenti - comportamenti che in un uomo comune sono duramente sanzionati.
E non solo, ma che proprio il potere abbia in sè, ontologicamente, quella condizione che permette a un maschio alfa di soddisfare i suoi appetiti.
Ora, entrambe le posizioni - per altro solo superficialmente in opposizione - ci portano a riconsiderare le posizioni espresse "a sinistra".
E torniamo a quelle; la prima era:
la vita privata di Berlusconi è vita privata, dobbiamo batterlo politicamente, e chi sanziona i suoi comportamenti privati è un moralista;
questa si rivela essere una trappola. La vita privata di Berlusconi e Marrazzo rivela che sono incapaci di tenersi sotto controllo.
C'è qualcuno a sinistra che ritiene che non controllare i proprio impulsi sia un fattore poco determinante per una persona che ha responsabilità politiche?
Oppure: c'è qualcuno a sinistra che ritiene che concepire la politica come "luogo" di impunità per i propri comportamentipulsionali sia un principio condivisibile?

La seconda era: . la vita privata di Berlusconi sarebbe privata se non sistemasse le donne con cui si accompagna con cariche pubbliche e se non sponsorizzasse opiniono politiche (vedi family day) del tutto incompatibili con le pratiche private.
Ora qui la questione si biforca decisamente e qualche differenza - politica - salta fuori.
Berlusconi ha sistemato, in tutto o in parte, le sue amanti con cariche pubbliche. Marrazzo no.
Berlusconi ha negato ogni cosa. Marrazzo no.
Berlusconi non ha minimamente intenzione di abbandonare la sua carica pubblica per queste vicende. Marrazzo l'ha fatto.
Berlusconi sta attuando vendette (Boffo, probabilmente lo stesso Marrazzo, e vediamo chi altro). Marrazzo si è preso le sue responsabilità e sta uscendo di scena.

Quindi qualche differenza *politica* c'è, ed è sostanziale. In fin dei conti, pare di capire che a sinistra *ancora* non si ritiene, almeno ai vertici, che essere esponenti politici significa concepire il potere come strumento per la realizzazione delle pulsioni.

Il punto si sposta quindi sugli elettori: davvero la maggior parte degli italiani concepisce il potere in termini feudali? Davvero si pensa diffusamente che il potere sia qualcosa di così alieno dalla vita di tutti noi da essere ontologicamente accompagnato dalla liceità di qualunque comportamento, perchè l'esercizio del potere rende temuti e/o rispettati fino alla patologia? Si pensa ancora che il potere sia quello di Gilles de Rais?

30 dicembre 2008

Guerra ed etica

Tra filosofia morale ed etica passano una serie di differenze che sarebbe lungo e inutile elencare, anche perché il termine "etica" sta assumendo significati che prima non aveva. Uno di questi è quello che, in qualche modo, ne sottolinea l'aspetto "pratico". Ecco così le etiche pratiche: etica della comunicazione, etica della scienza, etica dell'economia, e via discorrendo.
Così, nelle lezioni di etica dell'economia spesso una parte del lavoro didattico consiste nel rendere consapevoli gli studenti del loro percorso etico e della morale che sottende le loro etiche pratiche (o il giudizio etico delle azioni). Capita quindi di porre domande quasi banali, alla ricerca di quel filo che possa, in qualche modo, farli riflettere sulla genesi filosofica e culturale delle loro scelte. Trattandosi di studenti del tutto digiuni di filosofia (nel migliore dei casi hanno qualche vaga rimembranza liceale) è spesso compito difficile, per quanto entusiasmante.
E se nella stragrande maggioranza ritengono eticamente inaccettabile (al di là del reato) rapinare una banca armi in pugno (a parte qualche inconsapevole brechtiano) nondimeno hanno pochi dubbi nell'affermare che difendere la propria casa violata da qualche ladruncolo è azione che può e deve (sic!) contemplare anche l'omicidio. La riflessione parte da qui, dal convincimento pressochè generale che rubare soldi altrui sia riprovevole, ammazzare per salvare i propri no. Messi a confronto con il valore immediato, cominciano - vivaddio - i primi dubbi; uccidere per rubare cinquemila euro no, e uccidere per difendere cinquemila euro però nemmeno; i dubbi persistono quando si sale con la cifra. Arrivati a un milione di euro qualcuno comincia a cedere, e esprime la possibilità di essere in grado di compiere un'azione estrema per impadronirsene o per difenderlo. Ma non se si tratta di un amico, o di un familiare, o del familiare di un amico. Insomma, non si uccide chi si conosce, almeno non per interesse. Da qui un altro passo: quando diviene necessario uccidere? La prima risposta è sempre: quando è necessario salvare la nostra vita. Ma qui è imperativo ricominciare i distinguo; la necessarietà deve essere obiettiva, ovvero deve essere riconosciuta. E' necessario - per salvare la nostra vita - uccidere chi ci naccia verbalmente di morte? O chi da lontano fa roteare un bastone? La risposta prevalente è - vivaddio - no. E allora quando? quando l'altrui intenzione diviene azione priva di equivoco interpretativo. Quando, dopo la dichiarazione verbale, l'altrui gesto è evidente, chiaro e distinto (per usare termini cartesiani).
Non esiste, a mio modo di vedere etica della guerra; e con questa dichiarazione mi rendo conto di sollevare non poche obiezioni. Ma devo ammettere che, nella barbarie della guerra, i distinguo tra diciottenne in divisa - lecitamente ammazzabile - e diciottenne senza divisa, inerme civile che deve essere preservato ad ogni costo pena l'esecrazione universale, mi paiono - laddove non tragicamente ridicoli - eticamente inaccettabili. L'idea che si possa concepire un distinguo tra uccisione auspicabile e lecita e uccisione deprecabile e illecita mi pare faccia parte di mascheramento (in termini nicciani) del reale che deve essere genealogicamente svelato.
Non c'è, a mio modo di vedere, etica nella decisione di entrare in guerra. Perchè l'etica si dà solo quando esiste alternativa, quando possiamo scegliere cosa fare, e di questa scelta assumiamo consapevolmente le responsabilità conseguenti. Scegliere di entrare in guerra, scatenare una guerra, è immorale.
La guerra, gli uomini etici e le loro nazioni, la subiscono sempre, anche quando la cominciano, perchè la guerra, così come la legittima difesa, è l'unica alternativa alla morte. E in questo caso, solo in questo caso, si rende necessaria. Necessaria in linguaggio filosofico, laddove "necessario" ha come significato "può essere solo così, e non in altro modo".
Questo fa cadere ogni ipocrita distinzione tra civili e combattenti. Quella ipocrita convinzione che porta molti a pensare che l'auspicio migliore possibile sia una guerra nella quale muoiono solo coloro che portano una divisa. E in questo caso allora sarebbe possibile ricorrere alla guerra per dirimere controversie su confini, petrolio, materie prima and so on.
Come se la morte di un diciottenne senza divisa fosse davvero il MALE.

29 luglio 2008

Domande

La notizia è questa: Prete pedofilo, il muro di gomma della Curia; una delle tante, anzi in Italia una delle poche. Tralasciamo per un attimo il prete condannato. E tralasciamo anche il problema delle gerarchie vaticane e di come (non) affrontano la questione; e guardiamo la cosa da un altro punto di vista. Dal punto di vista individuale, che mi pare sia affrontato raramente. E la domanda è: che razza di individuo è quella persona che viene a sapere che un bambino è (forse) stato violentato e per prima cosa si preoccupa di insabbiare la questione?

Perché si parla sempre di gerarchie, vaticane in questo caso, di istituzioni, di ruoli. E mai di persone.
E invece sono quelle che mi interessano adesso. Ora, un monsignore qualunque sta nel suo ufficio, e una bella mattina chiede di essere ricevuto un genitore, una suora, un educatore; e gli dice che ha il forte sospetto che il suo parroco si diletti con i pargoli. Una persona "normale" secondo voi che reazione ha? E' questo che non mi spiego. Poi viene convocato da un magistrato. E si nega. E non dice. E nega. E parliamo di bambini violentati, non di evasione fiscale, traffico di stupefacenti, lavoro nero, tutte cose che hanno i loro estimatori e che possono essere difese con argomentazioni razionali e credibili.

Il titolo del giornale è errato. Non è il muro di gomma della curia. Non c'era la curia davanti al magistrato. C'era monsignor Vecchi.

Ma voi, con monsignor Vecchi, andreste a prendere un caffe'? Io no.

19 aprile 2007

Rete, autoreferenzialità e rinascimento

Vado maturando alcune riflessioni sulla rete in questo periodo che mi lasciano sconcertata. Me per prima intendo.
In alcuni aspetti, come quello dei blog e dei gruppi di discussione (ma non solo), la rete non è una finestra sulla realtà ma sulla rete stessa.
Illusione che diventa patologia quando il passo successivo è: io parlo nella rete e la rete parla di me. E qui il cerchio autoreferenziale si chiude illudendo il lettore con una realtà che appare solo sul suo monitor.

Ioan Couliano è uno rumeno allievo di Eliade, storico delle religioni e della cultura (l'ammazzano con un colpo alla nuca in un bagno dell'università di Yale, un assassinio rimasto impunito, per opinione generale opera della Securitate, il servizio segreto rumeno). In uno splendido libro che si intitola Eros e magia nel Rinascimento Couliano riesce nella difficilissima operazione di ritrovare meccanismi e flussi che sembrano tipici e peculiari della contemporaneità all'interno dei testi di Giordano Bruno.

Incuriosita (anche) da alcuni ultimi accadimenti ed equivoci di blogosfera e memore della lezione di Couliano, sono andata a cercare alcuni passi di Bruno che ricordavo come significativi e che in qualche modo mi erano "rimasti in testa". E li ho trovati, e ho trovato che, accidenti all'eretico rinascimentale!, spiegavano benissimo come funziona l'autoreferenzialità in rete.
Il Dialogo primo de lo Spaccio della bestia trionfante comincia in questo modo (gli interlocutori sono Sofia, Saulino, Mercurio):

Sofia: Talché, se ne li corpi, materia ed ente non fusse la mutazione, varietade e vicissitudine, nulla sarebbe conveniente, nulla di buono, niente delettevole.

Saul: Molto bene l'hai dimostrato, Sofia.

Sofia: Ogni delettazione non veggiamo consistere in altro, che in certo transito, camino e moto. Atteso che fastidioso e triste è il stato de la fame; dispiacevole e grave è il stato della sazietà: ma quello che ne deletta, è il moto da l'uno a l'altro. Il stato del venereo ardore ne tormenta, il stato dell'isfogata libidine ne contrista; ma quel che ne appaga, è il transito da l'uno stato all'altro. In nullo esse presente si trova piacere, se il passato non n'è venuto in fastidio. La fatica non piace, se non in principio, dopo il riposo; e se non in principio, dopo la fatica, nel riposo non è delettazione.

Saul: Se cossì è, non è delettazione senza mistura di tristezza, se nel moto è la participazione di quel che contenta e di quel che fastidisce.

Sofia: Dici bene. A quel che detto aggiongo, che Giove qualche volta, come se li venesse tedio d'esser Giove, prende certe vacanze, ora di agricoltore, ora di cacciatore, ora di soldato; adesso è con gli dei, adesso con gli uomini, adesso con le bestie. Color che sono ne le ville, prendono la lor festa e spasso ne le cittadi; quei che sono nelle cittadi, fanno le loro relassazioni, ferie e vacanze ne le ville. A chi è stato assiso o colcato, piace e giova il caminare.
[...] Quel che da ciò voglio inferire, è che il principio, il mezzo ed il fine, il nascimento, l'aumento e la perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne contrarii, a contrarii.

Ecco, a margine ma mica tanto, il post di mmax Sulle relazioni pericolose, esprime un punto di vista che - sebbene lontano dal mio - trovo eticamente ineccepibile. (no, mmax, non esistono "terre di nessuno", ma il tentativo è lodevole).

13 ottobre 2006

Muhammad Yunus Nobel per la Pace

Il premio Nobel per la pace 2006 è stato assegnato all'economista Muhammad Yunus e alla sua Grameen Bank, da lui fondata in Bangladesh, paese di cui è originario. Yunus, nato nel 1940 e laureato in Economia, già docente a Boulder (Colorado) e alla Vanderbilt University di Nashville (Tennessee), è l'inventore del sistema del microcredito, basato su prestiti senza garanzie ai poveri per aiutarli a creare piccole attività.
continua sul sito del Corriere della Sera

12 luglio 2006

Giorgio Colli e Spinoza

Se non ho già parlato di Giorgio Colli in questo blog ho fatto male. E provo a rimediare. Per lunghi anni Colli cura, tra l'altro, una enciclopedia di autori classici per Boringhieri e per molti di questi scrive anche la prefazione alle opere. Queste sono state poi raccolte in un volumetto pubblicato da Adelphi con il titolo Per una enciclopedia di autori classici.

Qui voglio riportare quella dedicata all'Etica di Spinoza:

"L'Etica richiede lettori non pigri, discretamente dotati e soprattutto che abbiano molto tempo a loro disposizione. Se le si concede tutto questo, in cambio offre molto di più di quello che ci si può ragionevolmente attendere da un libro: svela l'enigma di questa nostra vita, e indica la via della felicità, due doni che nessuno può disprezzare.
Ogni filosofo vuol trovare un senso - ossia un'unità - del mondo; ma gli oggetti che deve considerare sono infiniti, e i nessi concettuali che deve stabilire tra di essi sono, se possibile, ancora più infiniti. Il vigore di un filosofo è misurato dall'ampiezza di questa rete, che egli getta sulle cose, tentando di afferrarle e di stringerle. Ma ciò che conta ugualmente, è la qualità del tessuto di questa rete. La bava del ragno dev'essere rilucente e uniforme, e tenue abbastanza da ingannare la preda. E' la forza dello sguardo, che stabilisce questa unità, lucida e avvolgente.
Per profondità di un filosofo, si intende appunto ciò, e dopo i greci, nessun filosofo è stato profondo nella misura di Spinoza. Chi si accinge a leggere l'Etica, si trova innanzitutto di fronte a difficoltà grandissime: le definizioni, gli assiomi, le proposizioni, gli scolii, si presentano come bastioni inespugnabili, quasi isolati e ostili gli uni agli altri. Ma approfondendo l'indagine, cioè scendendo nei cunicoli sotterranei di ciascun bastione, si scoprono i collegamenti. Per inoltrarsi nel buio di quelle gallerie, occorre possedere un cuore fermo, e un occhio notturno. I contrasti tra i pensieri spinoziani vanno attenuandosi, man mano che si segue centrifugamente la loro concatenazione. E chiunque si compiaccia di indugiare sull'incompatibilità di due proposizioni, dovrebbe ragionevolmente dubitare dell'ampiezza del proprio respiro intellettuale, prima che della coerenza di Spinoza. Perché il punto dove convergono i pensieri di costui - l'unità della sua visione - è sepolto in un abisso, e occorrono giorni e mesi di meditazione, per scavare sino in fondo il pozzo di ogni singola proposizione.
Se tale è la natura di Spinoza, a ben poco serve il collocarlo nel suo tempo, e studiarlo storicamente, indagando il nesso che lo lega ai filosofi precedenti, e ricercando le tracce del suo pensiero nella speculazione posteriore. Certo, egli si serve di molti concetti offerti dalla tradizione, ma li riempie dei suoi contenuti; e quando avremo stabilito i suoi presupposti culturali e i suoi influssi, continueremo a scivolare lungo la superficie di una sfera, in cui invece, come abbiamo detto, si tratta di penetrare sino al centro. D'altronde non ha senso chiederci che cosa sia vivo di lui oggi, perché l'unica risposta sincera è: nulla; tale risposta, anziché autorizzarci a trascurarlo, dovrebbe indurci a riprenderlo seriamente in considerazione. Perciò sono più stimabili, o almeno utili, i suoi denigratori che non i tiepidi e cauti ammiratori. Perché quelli fecero rumore intorno alle parole miti, ma terribili, che suggerivano agli uomini la liberazione dai miti della religione e della filosofia, dalla credenza nel libero arbitrio, dalla millenaria superstizione sul valore assoluto del bene e del male. Eppure, ancor oggi il bene e il male sono concetti assoluti, e il finalismo domina le menti degli uomini.
In Spinoza non vi sono fratture: la sua vita fu in armonia con il suo pensiero. L'uomo non si distingue dalla sua opera. E ancora, il problema della conoscenza non si divide dal problema morale. Così in ogni parte della sua opera. L'antitesi fra razionalismo e irrazionalismo, cui da secoli tutti soggiacciono, è guardata dall'alto, secondo la prospettiva del conatus. Il crepaccio che separa l'individuo dal tutto viene saldato, senza danno né per l'una né per l'altra parte. Attraverso la cosa singola si può giungere intuitivamente alla totalità: la tesi mistica è dimostrata con la ragione.
Spinoza è un'unità, mentre il mondo moderno è una molteplicità frantumata. La voce di Spinoza giunge a noi da lontano, sommessa; non chiede di essere ascoltata. L'Etica ha la fermezza di un tempio, in un paesaggio disabitato: se sapremo contemplarlo, penetrare devoti nel suo interno, conosceremo il divino."

09 febbraio 2006

etica

A proposito di etica, sto concludendo il corso di quest'anno. E' stato un corso molto interessante, soprattutto per gli interventi degli studenti al seminario. Ho ancora due lezioni prima degli esami finali, ma oggi l'intervento di uno studente, centrato su Morales e la vicenda dei "cocaleros" - con la richiesta alla comunità internazionale intorno alle foglie di coca - ha suscitato un dibattito in aula molto proficuo e con argomentazioni fondate, soprattutto sul tema della globalizzazione, diritti delle comunità e diritti degli individui. Non appena online sarà mia premura postare il link.
Altro che puttanate intorno alle telefonate goliardiche.