19 aprile 2007

Rete, autoreferenzialità e rinascimento

Vado maturando alcune riflessioni sulla rete in questo periodo che mi lasciano sconcertata. Me per prima intendo.
In alcuni aspetti, come quello dei blog e dei gruppi di discussione (ma non solo), la rete non è una finestra sulla realtà ma sulla rete stessa.
Illusione che diventa patologia quando il passo successivo è: io parlo nella rete e la rete parla di me. E qui il cerchio autoreferenziale si chiude illudendo il lettore con una realtà che appare solo sul suo monitor.

Ioan Couliano è uno rumeno allievo di Eliade, storico delle religioni e della cultura (l'ammazzano con un colpo alla nuca in un bagno dell'università di Yale, un assassinio rimasto impunito, per opinione generale opera della Securitate, il servizio segreto rumeno). In uno splendido libro che si intitola Eros e magia nel Rinascimento Couliano riesce nella difficilissima operazione di ritrovare meccanismi e flussi che sembrano tipici e peculiari della contemporaneità all'interno dei testi di Giordano Bruno.

Incuriosita (anche) da alcuni ultimi accadimenti ed equivoci di blogosfera e memore della lezione di Couliano, sono andata a cercare alcuni passi di Bruno che ricordavo come significativi e che in qualche modo mi erano "rimasti in testa". E li ho trovati, e ho trovato che, accidenti all'eretico rinascimentale!, spiegavano benissimo come funziona l'autoreferenzialità in rete.
Il Dialogo primo de lo Spaccio della bestia trionfante comincia in questo modo (gli interlocutori sono Sofia, Saulino, Mercurio):

Sofia: Talché, se ne li corpi, materia ed ente non fusse la mutazione, varietade e vicissitudine, nulla sarebbe conveniente, nulla di buono, niente delettevole.

Saul: Molto bene l'hai dimostrato, Sofia.

Sofia: Ogni delettazione non veggiamo consistere in altro, che in certo transito, camino e moto. Atteso che fastidioso e triste è il stato de la fame; dispiacevole e grave è il stato della sazietà: ma quello che ne deletta, è il moto da l'uno a l'altro. Il stato del venereo ardore ne tormenta, il stato dell'isfogata libidine ne contrista; ma quel che ne appaga, è il transito da l'uno stato all'altro. In nullo esse presente si trova piacere, se il passato non n'è venuto in fastidio. La fatica non piace, se non in principio, dopo il riposo; e se non in principio, dopo la fatica, nel riposo non è delettazione.

Saul: Se cossì è, non è delettazione senza mistura di tristezza, se nel moto è la participazione di quel che contenta e di quel che fastidisce.

Sofia: Dici bene. A quel che detto aggiongo, che Giove qualche volta, come se li venesse tedio d'esser Giove, prende certe vacanze, ora di agricoltore, ora di cacciatore, ora di soldato; adesso è con gli dei, adesso con gli uomini, adesso con le bestie. Color che sono ne le ville, prendono la lor festa e spasso ne le cittadi; quei che sono nelle cittadi, fanno le loro relassazioni, ferie e vacanze ne le ville. A chi è stato assiso o colcato, piace e giova il caminare.
[...] Quel che da ciò voglio inferire, è che il principio, il mezzo ed il fine, il nascimento, l'aumento e la perfezione di quanto veggiamo, è da contrarii, per contrarii, ne contrarii, a contrarii.

Ecco, a margine ma mica tanto, il post di mmax Sulle relazioni pericolose, esprime un punto di vista che - sebbene lontano dal mio - trovo eticamente ineccepibile. (no, mmax, non esistono "terre di nessuno", ma il tentativo è lodevole).

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