Il post di Uriel mi ricorda che il 28 giugno a Bologna c'è il Gay Pride nazionale.
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12 giugno 2008
01 ottobre 2007
13 novembre 2006
Novità da Brescia
Qualcosa si muove. Ricordate la vicenda delle due ragazze di Brescia?
Bene, si sta preparando a Brescia per il 25 novembre una manifestazione nazionale.
Ne parla Un fine occhio sul mondo. La manifestazione viene organizzata dall'Arcigay di Brescia ed è in coincidenza con la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. A questo link trovate il volantino della manifestazione mentre se volete potete leggere anche l'appello all'amministrazione comunale di Mazzano.
Bene, si sta preparando a Brescia per il 25 novembre una manifestazione nazionale.
Ne parla Un fine occhio sul mondo. La manifestazione viene organizzata dall'Arcigay di Brescia ed è in coincidenza con la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. A questo link trovate il volantino della manifestazione mentre se volete potete leggere anche l'appello all'amministrazione comunale di Mazzano.
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10 novembre 2006
video israeliani
Dal blog hottest un video intrigante sul gay pride a Gerusalemme.
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09 novembre 2006
Gay Pride /4
Algeria
L'art. 338 prevede fino a 3 anni di reclusione e un'ammenda.
- Arabia Saudita
L'omosessualità è punita con la pena di morte.
Esecuzioni capitali in Arabia Saudita (GB)
- Bahrain
- Recentemente è stata attivata la legge islamica, ma l'art. 337 prevede la deportazione e fino a 10 anni di reclusione.
- Bangladesh
L'art. 377 del codice penale prevede la prigione a vita.
- Cecenia
L'omosessualità è punita con la morte.
- Djibouti
- L'omosessualità è illegale e punita prigione.
- Egitto
Non vi è un vero e proprio articolo contro l'omosessualità, ma i gay sono condannati giuridicamente perché lesivi della pubblica morale con pene da 1 a 5 anni e con invii ai lavori forzati.
- Emirati Arabi Uniti
L'art. 354 del codice penale federale prevede la pena di morte. L'art. 80 del codice di Abu Zhabi prevede la prigione fino a 14 anni, mentre il codice penale di Dubai prevede la reclusione fino a 10 anni (art. 177 del codice penale).
- Giordania
Gli atti omosessuali sono severamente proibiti e la pena consiste nella reclusione.
- Iran
Per i maschi, la morte. Per i minorenni, 74 fustigate, per le femmine, 100 fustigate. Articoli 108 - 113 cod. penale.
- Kenia
Gli articoli 162 e 165 del codice penale condannano l'omosessualità come crimine contro-natura con la prigione da 5 a 14 anni..
- Kuwait
L'art. 193 del codice penale prevede la reclusione fino a 7 anni.
- Libia
In base all'art. 407 del codice penale è previsto l'imprigionamento da 3 a 5 anni.
- Malesia
Art. 377 del codice penale: la condanna prevede fino a 20 anni di carcere e una multa in denaro.
- Marocco
L'omosessualità è illegale anche in Marocco, dove la pena prevista dall'articolo 489 del codice penale prevede una condanna alla reclusione da 6 mesi a tre anni, più il pagamento di una multa.
- Mauritania
Dall'introduzione della Sharia, la pena prevista è la morte.
- Nigeria
Condanna a morte (il condannato viene schiacciato da una parete spintagli addosso dal boia).
- Oman
In base all'art. 33 del codice penale, l'atto omosessuale è punito con la prigione da 6 mesi a un anno.
- Pakistan
100 fustigate o morte per lapidazione.
- Qatar
L'art. 201 del codice penale prevede fino a 5 anni di prigione.
- Senegal
L'art. 319 del codice penale prevede la reclusione da 1 a 5 anni e una multa.
- Somalia
Art. 409 del codice penale: carcere da 3 mesi a 3 anni.
- Siria
E' prevista la prigione, in base all'art. 520 del codice penale, fino a 3 anni.
- Sudan
In base all'art. 316 del codice penale, la pena prevista varia da 100 fustigate alla pena capitale.
- Tagikistan
L'omosessualità è illegale, art. 125.1 (ex 121 dell'URSS).
- Tunisia
L'omosessualità è illegale, ma tollerata. L'art. 330 del codice penale prevede fino a 3 anni di carcere.
- Uzbekistan
L'art. 120 del codice penale del codice penale del 1995 prevede la reclusione fino a 3 anni.
- Yemen
Pena di morte, viene applicata la Sharia.
tratto da molecularlab
L'art. 338 prevede fino a 3 anni di reclusione e un'ammenda.
- Arabia Saudita
L'omosessualità è punita con la pena di morte.
Esecuzioni capitali in Arabia Saudita (GB)
- Bahrain
- Recentemente è stata attivata la legge islamica, ma l'art. 337 prevede la deportazione e fino a 10 anni di reclusione.
- Bangladesh
L'art. 377 del codice penale prevede la prigione a vita.
- Cecenia
L'omosessualità è punita con la morte.
- Djibouti
- L'omosessualità è illegale e punita prigione.
- Egitto
Non vi è un vero e proprio articolo contro l'omosessualità, ma i gay sono condannati giuridicamente perché lesivi della pubblica morale con pene da 1 a 5 anni e con invii ai lavori forzati.
- Emirati Arabi Uniti
L'art. 354 del codice penale federale prevede la pena di morte. L'art. 80 del codice di Abu Zhabi prevede la prigione fino a 14 anni, mentre il codice penale di Dubai prevede la reclusione fino a 10 anni (art. 177 del codice penale).
- Giordania
Gli atti omosessuali sono severamente proibiti e la pena consiste nella reclusione.
- Iran
Per i maschi, la morte. Per i minorenni, 74 fustigate, per le femmine, 100 fustigate. Articoli 108 - 113 cod. penale.
- Kenia
Gli articoli 162 e 165 del codice penale condannano l'omosessualità come crimine contro-natura con la prigione da 5 a 14 anni..
- Kuwait
L'art. 193 del codice penale prevede la reclusione fino a 7 anni.
- Libia
In base all'art. 407 del codice penale è previsto l'imprigionamento da 3 a 5 anni.
- Malesia
Art. 377 del codice penale: la condanna prevede fino a 20 anni di carcere e una multa in denaro.
- Marocco
L'omosessualità è illegale anche in Marocco, dove la pena prevista dall'articolo 489 del codice penale prevede una condanna alla reclusione da 6 mesi a tre anni, più il pagamento di una multa.
- Mauritania
Dall'introduzione della Sharia, la pena prevista è la morte.
- Nigeria
Condanna a morte (il condannato viene schiacciato da una parete spintagli addosso dal boia).
- Oman
In base all'art. 33 del codice penale, l'atto omosessuale è punito con la prigione da 6 mesi a un anno.
- Pakistan
100 fustigate o morte per lapidazione.
- Qatar
L'art. 201 del codice penale prevede fino a 5 anni di prigione.
- Senegal
L'art. 319 del codice penale prevede la reclusione da 1 a 5 anni e una multa.
- Somalia
Art. 409 del codice penale: carcere da 3 mesi a 3 anni.
- Siria
E' prevista la prigione, in base all'art. 520 del codice penale, fino a 3 anni.
- Sudan
In base all'art. 316 del codice penale, la pena prevista varia da 100 fustigate alla pena capitale.
- Tagikistan
L'omosessualità è illegale, art. 125.1 (ex 121 dell'URSS).
- Tunisia
L'omosessualità è illegale, ma tollerata. L'art. 330 del codice penale prevede fino a 3 anni di carcere.
- Uzbekistan
L'art. 120 del codice penale del codice penale del 1995 prevede la reclusione fino a 3 anni.
- Yemen
Pena di morte, viene applicata la Sharia.
tratto da molecularlab
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Gay Pride /3
Dal sito lettera22 un articolo del gennaio scorso.
LA DURA VITA DEI GAY MEDIORIENTALI 22/01/06
L’omosessualità è legale solo in Israele e in Giordania. Negli altri paesi della regione le pene per i gay vanno da un anno di reclusione alla condanna a morte
Irene Panozzo Domenica 22 Gennaio 2006
Barra, “fuori” in arabo. Ovvero il corrispettivo dell’outing inglese. È questo il nome della prima (e per ora unica) rivista gay del Medio Oriente. E non è un caso che sia nata e sia distribuita nel paese più liberale della regione, il Libano. Un manipolo di coraggiosi giornalisti, membri dell’associazione Helem, l’acronimo arabo che sta per “Protezione libanese per lesbiche, gay, bisessuali e transessuali”, ha deciso l’anno scorso di dar vita a un trimestrale nuovo e senza precedenti. Da qualche mese la rivista è realtà, nonostante le difficoltà di budget e i possibili problemi con le autorità (in Yemen, nel 2004, un tribunale ha condannato tre giornalisti ad alcuni mesi di reclusione per aver pubblicato sul settimanale per cui lavoravano delle interviste fatte a uomini in carcere perché omosessuali). In Libano queste cose non accadono. Ma nonostante la relativa liberalità del paese, l’omosessualità – o, per seguire la definizione dell’articolo 534 del codice penale libanese, “le relazioni sessuali contrarie alle leggi della natura” – è ancora illegale e punibile per legge con un anno di reclusione. Una punizione blanda se paragonata a quelle previste nei paesi vicini e che non viene applicata quasi mai. Ma che permette alla polizia di vessare in ogni modo la locale comunità omosessuale.
Proprio l’annullamento dell’articolo 534 è l’obiettivo primario di Helem e dei suoi membri, perché – recita il loro sito – l’abrogazione della legge potrebbe “aiutare a ridurre la persecuzione dello Stato e della società e aprire la strada al raggiungimento dell’uguaglianza per la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale in Libano”. Barra, con articoli in arabo, francese e inglese, diventa quindi uno strumento di lotta, per fare advocacy, aprirsi al resto della società e cercare un dialogo. Anche attraverso delle provocazioni, più o meno pesanti. Nel numero zero della rivista, consultabile online all’indirizzo www.helem.net/barra.htm, il primo articolo in inglese apre con un titolo che attira l’attenzione: “Il Libano come destinazione del turismo gay?” Il paese ha molto da offrire dal punto di vista turistico e naturalistico, alcune delle spiagge del paese sono considerate gay-friendly e Beirut offre una gay life che, per quanto nascosta, è piuttosto viva. Ciononostante, no, ci dice il redattore, purtroppo il paese non è percepito come una meta consigliabile, essenzialmente per i problemi di insicurezza legati all’instabilità politica della regione.
Non è quindi il timore per un’eventuale applicazione della legge a impedire lo svilupparsi di un turismo gay in Libano. Altrettanto non si può dire per gli altri paesi del Medio Oriente, le cui leggi in materia sono spesso molto più restrittive e dove la pressione sociale sulle comunità omosessuali è molto più schiacciante. L’omosessualità è legale solo in Israele e in Giordania. Per il resto, si va da pene di un anno di reclusione previste in Libano e in Siria ai dieci anni di prigione previsti in Palestina e Bahrein, per finire con la pena di morte con cui possono essere puniti gli omosessuali di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen. In realtà però difficilmente le pene vengono portate a termine, anche se ciò non significa certo che la condizione degli omosessuali in questi paesi sia migliore di quanto appaia considerando solo la legislazione in vigore. L’eccezione a questa regola è l’Iran, dove nel luglio scorso due ragazzi sono stati impiccati. Ufficialmente, con l’accusa di aver violentato un ragazzo più giovane di loro. Ufficiosamente, secondo quanto hanno sostenuto i gruppi di tutela dei diritti umani, in primis Amnesty International e Human Rights Watch, solo perché omosessuali. I fatti di quest’estate confermano un dato di fatto noto già da tempo. Cioè che a detenere il record negativo per quel che riguarda la persecuzione nei confronti degli omosessuali sia proprio il paese degli ayatollah, dove dalla rivoluzione islamica del 1979 a oggi pare che siano state eseguite le condanne a morte di migliaia di uomini gay (o presunti tali).
Negli Emirati Arabi Uniti, invece, dove la pena di morte per omosessualità, seppur in vigore, non viene comminata, non si sa bene quale sia stato il destino dei ventisei uomini arrestati a novembre perché, secondo le autorità, avevano preso parte a un matrimonio gay in un hotel di Abu Dhabi. Secondo le dichiarazioni rilasciate dalla polizia e da funzionari del ministero degli interni, poi in parte smentite, pare che i detenuti subiranno una cura ormonale e psicologia forzata per “guarire” la loro identità sessuale. Tutte le richieste di chiarimenti e i richiami alla lettera dei trattati internazionali e all’etica medica fatti da Amnesty International e da altri gruppi per la tutela dei diritti umani, oltre che da alcuni governi occidentali, non hanno per ora sortito alcun effetto.
Una vicenda simile, che ha avuto una grande risonanza internazionale, è accaduta al Cairo nel maggio 2001, quando la polizia fece irruzione su uno dei barconi ancorati lungo le sponde del Nilo. Il Queen Boat era conosciuto come un locale abitualmente frequentato da omosessuali. Cinquantadue uomini furono arrestati per offese alla moralità e alla religione, oltre che per depravazione. In Egitto, infatti, l’omosessualità non è esplicitamente fuori legge, ma è considerata un tabù sociale ed è punita con pene fino a un massimo di cinque anni facendo ricorso a varie norme, in particolare a quelle solitamente usate per i reati legati alla prostituzione. L’eco internazionale che il caso del Queen Boat ha avuto ha in parte oscurato il fatto che la retata nel locale sul Nilo sia stato di fatto l’inizio di un progressivo giro di vite nei confronti della comunità omosessuale egiziana, che è continuato negli ultimi anni. Tutti i ritrovi per gay sono stati chiusi, uno dopo l’altro, costringendo gli omosessuali a ritrovarsi in internet per evitare di essere arrestati e torturati.
Anche per questo clima di crescente persecuzione, la presenza tra i personaggi di Imarat Ya’qoubian (“Palazzo Yacubian”), il romanzo del dentista cairota Alaa al-Aswany apparso nel 2002 e diventato subito un bestseller in tutti i paesi di lingua araba, di un giornalista omosessuale, Hatim, che vive una tragica storia d’amore con Abduh, ha fatto scalpore. È proprio Hatim la vera novità sociale, ancor più che culturale, del romanzo. “Da noi”, spiega Aswany, “gli atteggiamenti sono solo due. O non vediamo gli omosessuali, cioè non li identifichiamo come tali, oppure non ci piacciono. Io ho tentato di fare quello di cui la letteratura è capace: di renderci solo essere umani, più tolleranti e anche più comprensibili agli altri”.
L'articolo è apparso sul numero di gennaio di New Politics, l'inserto mensile de Il Riformista
LA DURA VITA DEI GAY MEDIORIENTALI 22/01/06
L’omosessualità è legale solo in Israele e in Giordania. Negli altri paesi della regione le pene per i gay vanno da un anno di reclusione alla condanna a morte
Irene Panozzo Domenica 22 Gennaio 2006
Barra, “fuori” in arabo. Ovvero il corrispettivo dell’outing inglese. È questo il nome della prima (e per ora unica) rivista gay del Medio Oriente. E non è un caso che sia nata e sia distribuita nel paese più liberale della regione, il Libano. Un manipolo di coraggiosi giornalisti, membri dell’associazione Helem, l’acronimo arabo che sta per “Protezione libanese per lesbiche, gay, bisessuali e transessuali”, ha deciso l’anno scorso di dar vita a un trimestrale nuovo e senza precedenti. Da qualche mese la rivista è realtà, nonostante le difficoltà di budget e i possibili problemi con le autorità (in Yemen, nel 2004, un tribunale ha condannato tre giornalisti ad alcuni mesi di reclusione per aver pubblicato sul settimanale per cui lavoravano delle interviste fatte a uomini in carcere perché omosessuali). In Libano queste cose non accadono. Ma nonostante la relativa liberalità del paese, l’omosessualità – o, per seguire la definizione dell’articolo 534 del codice penale libanese, “le relazioni sessuali contrarie alle leggi della natura” – è ancora illegale e punibile per legge con un anno di reclusione. Una punizione blanda se paragonata a quelle previste nei paesi vicini e che non viene applicata quasi mai. Ma che permette alla polizia di vessare in ogni modo la locale comunità omosessuale.
Proprio l’annullamento dell’articolo 534 è l’obiettivo primario di Helem e dei suoi membri, perché – recita il loro sito – l’abrogazione della legge potrebbe “aiutare a ridurre la persecuzione dello Stato e della società e aprire la strada al raggiungimento dell’uguaglianza per la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale in Libano”. Barra, con articoli in arabo, francese e inglese, diventa quindi uno strumento di lotta, per fare advocacy, aprirsi al resto della società e cercare un dialogo. Anche attraverso delle provocazioni, più o meno pesanti. Nel numero zero della rivista, consultabile online all’indirizzo www.helem.net/barra.htm, il primo articolo in inglese apre con un titolo che attira l’attenzione: “Il Libano come destinazione del turismo gay?” Il paese ha molto da offrire dal punto di vista turistico e naturalistico, alcune delle spiagge del paese sono considerate gay-friendly e Beirut offre una gay life che, per quanto nascosta, è piuttosto viva. Ciononostante, no, ci dice il redattore, purtroppo il paese non è percepito come una meta consigliabile, essenzialmente per i problemi di insicurezza legati all’instabilità politica della regione.
Non è quindi il timore per un’eventuale applicazione della legge a impedire lo svilupparsi di un turismo gay in Libano. Altrettanto non si può dire per gli altri paesi del Medio Oriente, le cui leggi in materia sono spesso molto più restrittive e dove la pressione sociale sulle comunità omosessuali è molto più schiacciante. L’omosessualità è legale solo in Israele e in Giordania. Per il resto, si va da pene di un anno di reclusione previste in Libano e in Siria ai dieci anni di prigione previsti in Palestina e Bahrein, per finire con la pena di morte con cui possono essere puniti gli omosessuali di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen. In realtà però difficilmente le pene vengono portate a termine, anche se ciò non significa certo che la condizione degli omosessuali in questi paesi sia migliore di quanto appaia considerando solo la legislazione in vigore. L’eccezione a questa regola è l’Iran, dove nel luglio scorso due ragazzi sono stati impiccati. Ufficialmente, con l’accusa di aver violentato un ragazzo più giovane di loro. Ufficiosamente, secondo quanto hanno sostenuto i gruppi di tutela dei diritti umani, in primis Amnesty International e Human Rights Watch, solo perché omosessuali. I fatti di quest’estate confermano un dato di fatto noto già da tempo. Cioè che a detenere il record negativo per quel che riguarda la persecuzione nei confronti degli omosessuali sia proprio il paese degli ayatollah, dove dalla rivoluzione islamica del 1979 a oggi pare che siano state eseguite le condanne a morte di migliaia di uomini gay (o presunti tali).
Negli Emirati Arabi Uniti, invece, dove la pena di morte per omosessualità, seppur in vigore, non viene comminata, non si sa bene quale sia stato il destino dei ventisei uomini arrestati a novembre perché, secondo le autorità, avevano preso parte a un matrimonio gay in un hotel di Abu Dhabi. Secondo le dichiarazioni rilasciate dalla polizia e da funzionari del ministero degli interni, poi in parte smentite, pare che i detenuti subiranno una cura ormonale e psicologia forzata per “guarire” la loro identità sessuale. Tutte le richieste di chiarimenti e i richiami alla lettera dei trattati internazionali e all’etica medica fatti da Amnesty International e da altri gruppi per la tutela dei diritti umani, oltre che da alcuni governi occidentali, non hanno per ora sortito alcun effetto.
Una vicenda simile, che ha avuto una grande risonanza internazionale, è accaduta al Cairo nel maggio 2001, quando la polizia fece irruzione su uno dei barconi ancorati lungo le sponde del Nilo. Il Queen Boat era conosciuto come un locale abitualmente frequentato da omosessuali. Cinquantadue uomini furono arrestati per offese alla moralità e alla religione, oltre che per depravazione. In Egitto, infatti, l’omosessualità non è esplicitamente fuori legge, ma è considerata un tabù sociale ed è punita con pene fino a un massimo di cinque anni facendo ricorso a varie norme, in particolare a quelle solitamente usate per i reati legati alla prostituzione. L’eco internazionale che il caso del Queen Boat ha avuto ha in parte oscurato il fatto che la retata nel locale sul Nilo sia stato di fatto l’inizio di un progressivo giro di vite nei confronti della comunità omosessuale egiziana, che è continuato negli ultimi anni. Tutti i ritrovi per gay sono stati chiusi, uno dopo l’altro, costringendo gli omosessuali a ritrovarsi in internet per evitare di essere arrestati e torturati.
Anche per questo clima di crescente persecuzione, la presenza tra i personaggi di Imarat Ya’qoubian (“Palazzo Yacubian”), il romanzo del dentista cairota Alaa al-Aswany apparso nel 2002 e diventato subito un bestseller in tutti i paesi di lingua araba, di un giornalista omosessuale, Hatim, che vive una tragica storia d’amore con Abduh, ha fatto scalpore. È proprio Hatim la vera novità sociale, ancor più che culturale, del romanzo. “Da noi”, spiega Aswany, “gli atteggiamenti sono solo due. O non vediamo gli omosessuali, cioè non li identifichiamo come tali, oppure non ci piacciono. Io ho tentato di fare quello di cui la letteratura è capace: di renderci solo essere umani, più tolleranti e anche più comprensibili agli altri”.
L'articolo è apparso sul numero di gennaio di New Politics, l'inserto mensile de Il Riformista
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Gay pride /2
Dal blog di Rolli recupero un articolo apparso sul Corriere della Sera il 29 febbraio 2004. Mi piace pensare che gli uomini di cui si parla siano al Gay Pride, liberi di essere.
Essere gay palestinesi e dover fuggire in Israele
Costretti a rifugiarsi in Israele per sfuggire alla tortura, alle accuse di collaborazionismo e alla morte. Per mano dei loro stessi familiari.
La troppa vodka e la luce gialla dei lampioni, la pioggia che certe notti colpisce come sputi gelidi e i risvegli sulle panchine della stazione non hanno guastato lo sguardo da ragazzino di Ahmed. Lo sa lui, lo vedono i clienti, quando abbassano il finestrino, scambiano qualche parola, contrattano un’ora di sesso. Ahmed è palestinese, è gay, è scappato in Israele dopo che un giorno gli estremisti di Hamas erano andati a cercarlo a casa. A Tel Aviv dorme dove può - da un amico, da uno sconosciuto incontrato in una sauna - e deve nascondersi dalla polizia perché qui è un clandestino. Ma almeno non deve più nascondersi dai fratelli, che lo ammazzerebbero per cancellare il disonore dalla famiglia.
«Vivo in Israele dal 1998, quattro anni fa sono tornato in Cisgiordania: c’erano i funerali di mio padre». Quella volta ha rischiato troppo, è stata l’ultima. «I poliziotti palestinesi - ricorda Ahmed, che ha 23 anni e ha chiesto di non usare il vero nome - sono riusciti a fermarmi. Mi hanno portato in una caserma, picchiato. Ho passato la notte immerso in una fossa piena d’acqua di fogna. Volevano farmi confessare di essere un collaborazionista, di fare la spia per gli israeliani. Mi hanno rilasciato solo dopo che mio zio ha pagato. Mia madre mi ha dato dei soldi e mi ha detto di sparire per sempre. Da allora non ho più visto il mio villaggio».
Ahmed è sempre inquieto, sulla difensiva, come se ogni mattina si svegliasse dallo stesso incubo. Lo stesso che vivono altri trecento omosessuali palestinesi rifugiati in Israele. Come lui raccontano di essere stati perseguitati e torturati, come lui hanno imparato l’ebraico in fretta - cancellando l’accento arabo - e in fretta hanno imparato a riconoscere i poliziotti in borghese. Non sono un gruppo, non sono amici, è difficile fidarsi degli altri quando ci si sente braccati: quando un’espulsione verso Gaza o la Cisgiordania diventa una condanna a morte.
Frequentano le stesse strade, le vie buie della prostituzione attorno al quartiere della vecchia stazione degli autobus. Tutti chiamano quest’area Electricity Garden, ma di erba non c’è traccia e le luci sono poche. Qui Shaul Gonen passa le notti, offrendo aiuto, vestiti, qualcosa da mangiare. íˆ un omosessuale israeliano, mezzo greco e mezzo italiano, gigante mite. Con l’associazione Aguda assiste, anche legalmente, i ragazzi del «Garden». Che ormai riconoscono la sua mole e quando si avvicina, parlano con lui. «I più terrorizzati hanno aspettato un anno prima di rivolgermi la parola» spiega mentre elenca - mamma orgogliosa dei suoi figli - i nomi degli adolescenti che scorge appoggiati ai muri di ammuffiti palazzi anni Trenta.
«La maggior parte di quelli che scappano - continua - ha tra i 14 e i 18 anni. Questo è l’unico Paese del Medio Oriente dove possono venire, la nostra società è molto aperta verso i diritti degli omosessuali. L’Autorità palestinese li accusa di collaborazionismo per poterli arrestare: in passato i servizi segreti israeliani avrebbero fatto pressioni sui gay per usarli come informatori. Raccontano di essere stati torturati dai padri e dai fratelli maggiori. Qualcuno mi ha detto che gli estremisti hanno provato a farne dei kamikaze per riscattare l’onta con la morte».
I maltrattamenti sono stati denunciati anche dal Dipartimento di Stato americano, nel rapporto sui diritti umani del 2003: «Nei territori gli omosessuali sono stati vittime di molestie, di abusi, alcuni di loro sono finiti in carcere». Wael Abu Lafi, del General Prosecution Committee palestinese, nega: sostiene che non c’è stato un solo caso di gay arrestato e processato. Ma ammette: «L’omosessualità è contro i nostri codici sociali, la nostra tradizione. íˆ contro l’Islam. Non potete fare paragoni con l’Europa. Da noi gli omosessuali mantengono il segreto, non si sa niente di loro. In ogni caso l’omosessualità è punita come un reato minore».
Il Parlamento sta preparando una nuova legge, prevede condanne dai tre ai cinque anni: richiede ancora una seconda e una terza lettura prima che venga presentata a Yasser Arafat per l’approvazione finale. «Se l’omosessualità venisse decriminalizzata - commenta Isam Abdeen, professore all’Università Al Quds e consulente dell’Assemblea legislativa - ci sarebbe il caos sociale, una guerra civile. Non può essere considerata una forma di libertà, è un’offesa. Nessun politico palestinese la difenderebbe mai come pratica di libertà personale».
Solo trentatré ragazzi hanno accettato di iscriversi ad Aguda, anche se la tessera con i colori dell’arcobaleno potrebbe salvare loro la vita: Shaul ha arrangiato un accordo informale con la polizia, perché non espella i giovani nella sua lista. «Entrare a far parte di un’associazione omosessuale è molto difficile - spiega Shaul - quasi non ammettono con se stessi di essere gay». Shaul è un israeliano di sinistra, di quelli che manifestano contro l’ «occupazione». «Alcuni amici mi hanno accusato di fare il gioco della destra - dice - perché denuncio le violenze contro gli omosessuali nei territori. Io so che l’occupazione è sbagliata, che devono nascere due Stati, conosco le sofferenze dei palestinesi. Ma se vogliono il rispetto dei diritti umani, devono imparare a rispettare quelli di chi è diverso, fuori dalla loro mentalità, cultura o religione».
Sulla schiena Mohammed porta ancora i segni delle ultime quattro ore trascorse nel soggiorno della casa in cui è nato. Quando il padre, la madre e uno dei fratelli l’hanno legato a una colonna e hanno cominciato a colpire. Con un tubo di plastica, con i cavi, con i ferri arroventati. Alza la maglietta per mostrare le cicatrici, un gesto che fa con timidezza come se non fosse diventato il rito delle sere in cui cerca un letto per dormire. «íˆ stato mio fratello a scoprirmi - ricorda -. Ero rimasto da solo e avevo invitato un ragazzo conosciuto al mercato. Ci ha sorpresi nudi sul letto. Per mesi non ha detto nulla ai miei genitori, ma ogni mattina mi minacciava "oggi parlo", un giorno lo ha fatto».
Mohammed - 21 anni, non è il suo vero nome - è scappato dalla Cisgiordania alla prima occasione, le ciabatte ai piedi, indosso una maglietta e i pantaloni. All’inizio non voleva andare con i clienti, ancora adesso non ammette di prostituirsi.
Non sa spiegare come trova i soldi, abbassa gli occhi scuri, ripete che lui sta lontano dalla droga e dall’alcol. íˆ stato in carcere undici mesi con l’accusa di aver rubato un telefonino, è uscito in agosto. «Non parlo con la mia famiglia da quando sono qui - dice -. Credo che solo mia sorella più grande sarebbe disposta ad aiutarmi, se la situazione fosse diversa. Così per lei è impossibile».
Shaul sta tentando di far accogliere Mohammed in un Paese europeo. «In cinque anni - spiega - la nostra associazione è riuscita a mandare all’estero otto uomini e tre donne. La convenzione Onu del 1951, firmata anche da Israele, garantisce il diritto d’asilo a chi è perseguitato a causa dell’orientamento sessuale. Ma per questi giovani palestinesi è molto difficile ottenere lo status di rifugiati o anche solo il permesso di soggiorno. Per loro è comunque meglio andare a vivere lontano dai familiari.
I parenti arabi israeliani la sera pattugliano le strade di Tel Aviv dove si prostituiscono». «Venire qui - commenta Donatella Rovera di Amnesty International - è un biglietto di sola andata. Il governo israeliano dovrebbe almeno metterli nelle condizioni di lasciare il Paese».
Mohammed vorrebbe svegliarsi con il cuscino bianco, non coperto dai capelli che ha perso nella notte. «Sono gli incubi. Non riesco a sognare, a pensare: "Se avessi un milione di dollari comprerei questo o quello". Voglio solo aprire gli occhi e dire: "Io non ho paura"»
Davide Frattini Corriere della Seradel 29 febbraio
Essere gay palestinesi e dover fuggire in Israele
Costretti a rifugiarsi in Israele per sfuggire alla tortura, alle accuse di collaborazionismo e alla morte. Per mano dei loro stessi familiari.
La troppa vodka e la luce gialla dei lampioni, la pioggia che certe notti colpisce come sputi gelidi e i risvegli sulle panchine della stazione non hanno guastato lo sguardo da ragazzino di Ahmed. Lo sa lui, lo vedono i clienti, quando abbassano il finestrino, scambiano qualche parola, contrattano un’ora di sesso. Ahmed è palestinese, è gay, è scappato in Israele dopo che un giorno gli estremisti di Hamas erano andati a cercarlo a casa. A Tel Aviv dorme dove può - da un amico, da uno sconosciuto incontrato in una sauna - e deve nascondersi dalla polizia perché qui è un clandestino. Ma almeno non deve più nascondersi dai fratelli, che lo ammazzerebbero per cancellare il disonore dalla famiglia.
«Vivo in Israele dal 1998, quattro anni fa sono tornato in Cisgiordania: c’erano i funerali di mio padre». Quella volta ha rischiato troppo, è stata l’ultima. «I poliziotti palestinesi - ricorda Ahmed, che ha 23 anni e ha chiesto di non usare il vero nome - sono riusciti a fermarmi. Mi hanno portato in una caserma, picchiato. Ho passato la notte immerso in una fossa piena d’acqua di fogna. Volevano farmi confessare di essere un collaborazionista, di fare la spia per gli israeliani. Mi hanno rilasciato solo dopo che mio zio ha pagato. Mia madre mi ha dato dei soldi e mi ha detto di sparire per sempre. Da allora non ho più visto il mio villaggio».
Ahmed è sempre inquieto, sulla difensiva, come se ogni mattina si svegliasse dallo stesso incubo. Lo stesso che vivono altri trecento omosessuali palestinesi rifugiati in Israele. Come lui raccontano di essere stati perseguitati e torturati, come lui hanno imparato l’ebraico in fretta - cancellando l’accento arabo - e in fretta hanno imparato a riconoscere i poliziotti in borghese. Non sono un gruppo, non sono amici, è difficile fidarsi degli altri quando ci si sente braccati: quando un’espulsione verso Gaza o la Cisgiordania diventa una condanna a morte.
Frequentano le stesse strade, le vie buie della prostituzione attorno al quartiere della vecchia stazione degli autobus. Tutti chiamano quest’area Electricity Garden, ma di erba non c’è traccia e le luci sono poche. Qui Shaul Gonen passa le notti, offrendo aiuto, vestiti, qualcosa da mangiare. íˆ un omosessuale israeliano, mezzo greco e mezzo italiano, gigante mite. Con l’associazione Aguda assiste, anche legalmente, i ragazzi del «Garden». Che ormai riconoscono la sua mole e quando si avvicina, parlano con lui. «I più terrorizzati hanno aspettato un anno prima di rivolgermi la parola» spiega mentre elenca - mamma orgogliosa dei suoi figli - i nomi degli adolescenti che scorge appoggiati ai muri di ammuffiti palazzi anni Trenta.
«La maggior parte di quelli che scappano - continua - ha tra i 14 e i 18 anni. Questo è l’unico Paese del Medio Oriente dove possono venire, la nostra società è molto aperta verso i diritti degli omosessuali. L’Autorità palestinese li accusa di collaborazionismo per poterli arrestare: in passato i servizi segreti israeliani avrebbero fatto pressioni sui gay per usarli come informatori. Raccontano di essere stati torturati dai padri e dai fratelli maggiori. Qualcuno mi ha detto che gli estremisti hanno provato a farne dei kamikaze per riscattare l’onta con la morte».
I maltrattamenti sono stati denunciati anche dal Dipartimento di Stato americano, nel rapporto sui diritti umani del 2003: «Nei territori gli omosessuali sono stati vittime di molestie, di abusi, alcuni di loro sono finiti in carcere». Wael Abu Lafi, del General Prosecution Committee palestinese, nega: sostiene che non c’è stato un solo caso di gay arrestato e processato. Ma ammette: «L’omosessualità è contro i nostri codici sociali, la nostra tradizione. íˆ contro l’Islam. Non potete fare paragoni con l’Europa. Da noi gli omosessuali mantengono il segreto, non si sa niente di loro. In ogni caso l’omosessualità è punita come un reato minore».
Il Parlamento sta preparando una nuova legge, prevede condanne dai tre ai cinque anni: richiede ancora una seconda e una terza lettura prima che venga presentata a Yasser Arafat per l’approvazione finale. «Se l’omosessualità venisse decriminalizzata - commenta Isam Abdeen, professore all’Università Al Quds e consulente dell’Assemblea legislativa - ci sarebbe il caos sociale, una guerra civile. Non può essere considerata una forma di libertà, è un’offesa. Nessun politico palestinese la difenderebbe mai come pratica di libertà personale».
Solo trentatré ragazzi hanno accettato di iscriversi ad Aguda, anche se la tessera con i colori dell’arcobaleno potrebbe salvare loro la vita: Shaul ha arrangiato un accordo informale con la polizia, perché non espella i giovani nella sua lista. «Entrare a far parte di un’associazione omosessuale è molto difficile - spiega Shaul - quasi non ammettono con se stessi di essere gay». Shaul è un israeliano di sinistra, di quelli che manifestano contro l’ «occupazione». «Alcuni amici mi hanno accusato di fare il gioco della destra - dice - perché denuncio le violenze contro gli omosessuali nei territori. Io so che l’occupazione è sbagliata, che devono nascere due Stati, conosco le sofferenze dei palestinesi. Ma se vogliono il rispetto dei diritti umani, devono imparare a rispettare quelli di chi è diverso, fuori dalla loro mentalità, cultura o religione».
Sulla schiena Mohammed porta ancora i segni delle ultime quattro ore trascorse nel soggiorno della casa in cui è nato. Quando il padre, la madre e uno dei fratelli l’hanno legato a una colonna e hanno cominciato a colpire. Con un tubo di plastica, con i cavi, con i ferri arroventati. Alza la maglietta per mostrare le cicatrici, un gesto che fa con timidezza come se non fosse diventato il rito delle sere in cui cerca un letto per dormire. «íˆ stato mio fratello a scoprirmi - ricorda -. Ero rimasto da solo e avevo invitato un ragazzo conosciuto al mercato. Ci ha sorpresi nudi sul letto. Per mesi non ha detto nulla ai miei genitori, ma ogni mattina mi minacciava "oggi parlo", un giorno lo ha fatto».
Mohammed - 21 anni, non è il suo vero nome - è scappato dalla Cisgiordania alla prima occasione, le ciabatte ai piedi, indosso una maglietta e i pantaloni. All’inizio non voleva andare con i clienti, ancora adesso non ammette di prostituirsi.
Non sa spiegare come trova i soldi, abbassa gli occhi scuri, ripete che lui sta lontano dalla droga e dall’alcol. íˆ stato in carcere undici mesi con l’accusa di aver rubato un telefonino, è uscito in agosto. «Non parlo con la mia famiglia da quando sono qui - dice -. Credo che solo mia sorella più grande sarebbe disposta ad aiutarmi, se la situazione fosse diversa. Così per lei è impossibile».
Shaul sta tentando di far accogliere Mohammed in un Paese europeo. «In cinque anni - spiega - la nostra associazione è riuscita a mandare all’estero otto uomini e tre donne. La convenzione Onu del 1951, firmata anche da Israele, garantisce il diritto d’asilo a chi è perseguitato a causa dell’orientamento sessuale. Ma per questi giovani palestinesi è molto difficile ottenere lo status di rifugiati o anche solo il permesso di soggiorno. Per loro è comunque meglio andare a vivere lontano dai familiari.
I parenti arabi israeliani la sera pattugliano le strade di Tel Aviv dove si prostituiscono». «Venire qui - commenta Donatella Rovera di Amnesty International - è un biglietto di sola andata. Il governo israeliano dovrebbe almeno metterli nelle condizioni di lasciare il Paese».
Mohammed vorrebbe svegliarsi con il cuscino bianco, non coperto dai capelli che ha perso nella notte. «Sono gli incubi. Non riesco a sognare, a pensare: "Se avessi un milione di dollari comprerei questo o quello". Voglio solo aprire gli occhi e dire: "Io non ho paura"»
Davide Frattini Corriere della Seradel 29 febbraio
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Gay Pride /1
Mentre Gerusalemme si prepara a ospitare la manifestazione di domani, faccio un giro per il web e decido che vale la pena di rinfrescare la memoria intorno ad alcuni piccoli particolari. Le righe che seguono sono tratte tutte dal sito squilibrio.net
In Iran le donne omosessuali sono costrette a vite intollerabili. Devono sposarsi spesso giovanissime sotto una costante pressione familiare e sono poi accusate di venire meno agli obblighi coniugali. Secondo la legge islamica, questo costituisce un valido motivo per il marito per chiedere (e ottenere) il divorzio. Una donna divorziata è ulteriormente oppressa ed isolata all’interno della società. Non essendo più vergine, è tenuta sotto stretto controllo della famiglia, che le impedisce spesso la frequentazione di altre persone. Spesso viene picchiata o maltrattata per sottolineare il suo fallimento come donna nella costitutizione di una nuova famiglia.
I media iraniani presentano incessantemente al pubblico i gay come pedofili o stupratori. In alcuni casi si presenta addirittura l’AIDS come una giusta punizione per coloro che hanno vissuto una vita nel peccato, una dimensione che viene spesso internalizzata dagli omosessuali stessi. Si tratta di una riproduzione nel XXI secolo della costruzione del legame tra omosessualità e devianza mentale e/o sociale come era stata fatta in occidente.
Nel 1991 l’Iran ha introdotto nel proprio codice penale le seguenti pene nei riguardi dell’omossessualità. La sodomia è un crimine. Entrambi i partners vengono puniti. Se sono entrambi adulti, essi vengono condannati a morte. Se non sono ancora adulti la punizione è ‘limitata’ a 74 frustate (artt. 108-113). La sodomia è comprovata se una persona confessa quattro volte di aver commesso questo ‘crimine’, o se esiste una testimonianza di quattro uomini. La testimonianza di una donna unica non costituisce prova di sodomia (art. 114). Lo sfregamento di parti genitali tra partners dello stesso sesso non è punita con la morte ma con 100 frustate, fino alla terza volta. Alla quarta occasione viene applicata la pena di morte (artt. 121 e 122). Se due uomini “stanno in piedi nudi senza coprirsi senza necessità” sono pentrambi puniti con 99 frustate, mentre “baci lussuriosi” tra persone dello stesso sesso sono puniti con 60 frustate (artt. 123 e 124).
Le donne sono punite con 100 frustate per rapporti omosessuali. Come nel caso dell’omosessualità maschile, alla quarta volta entra in gioco la pena di morte.
In Arabia Saudita l’omosessualità è un crimine punito con la massima pena, cioè la pena di morte.
Negli Emirati Arabi Uniti (EAU) la sodomia è punibile con la reclusione fino a 14 anni (art. 8 del Codice penale Abu Zhabi). I rapporti sessuali tra uomini sono inoltre puniti con 10 anni di reclusione dall’art. 177 del codice penale di Dubai. La maggior parte degli abitanti degli EAU sono Sunniti della scuola malichita, secondo la cui interpretazione la sodomia è considerata una zina, cioè una colpa da estinguere piuttosto che da punire. Secondo quest’ottica sia l’uomo sposato che quello non-sposato devono venire messi a morte per lapidazione. Gli EAU limitano fortemente la possibilità di accedere alle telecomunicazioni ed è quindi internet a venire bloccata. L’accesso al sito della Gay-Lesbian Arab Society (www.glas.org), una risorsa importante per la comunità gay in Medio Oriente, è infatti proibito.
Esiste una politica precisa di espulsione dei lavoratori stranieri che abbiano contratto e sviluppato la malattia nella sua forma conclamata o che siano risultati positivi al test dell’HIV. Nel febbraio 1998 gli EAU hanno cominciato a mettere in pratica questo tipo di politica, deportando quei lavoratori stranieri che provenivano dall’India, dal Pakistan, dalla Tailandia e da vari paesi africani. Solo nel 1998 più di 6000 lavoratori stranieri sono stati espulsi perchè malati.
In Iran le donne omosessuali sono costrette a vite intollerabili. Devono sposarsi spesso giovanissime sotto una costante pressione familiare e sono poi accusate di venire meno agli obblighi coniugali. Secondo la legge islamica, questo costituisce un valido motivo per il marito per chiedere (e ottenere) il divorzio. Una donna divorziata è ulteriormente oppressa ed isolata all’interno della società. Non essendo più vergine, è tenuta sotto stretto controllo della famiglia, che le impedisce spesso la frequentazione di altre persone. Spesso viene picchiata o maltrattata per sottolineare il suo fallimento come donna nella costitutizione di una nuova famiglia.
I media iraniani presentano incessantemente al pubblico i gay come pedofili o stupratori. In alcuni casi si presenta addirittura l’AIDS come una giusta punizione per coloro che hanno vissuto una vita nel peccato, una dimensione che viene spesso internalizzata dagli omosessuali stessi. Si tratta di una riproduzione nel XXI secolo della costruzione del legame tra omosessualità e devianza mentale e/o sociale come era stata fatta in occidente.
Nel 1991 l’Iran ha introdotto nel proprio codice penale le seguenti pene nei riguardi dell’omossessualità. La sodomia è un crimine. Entrambi i partners vengono puniti. Se sono entrambi adulti, essi vengono condannati a morte. Se non sono ancora adulti la punizione è ‘limitata’ a 74 frustate (artt. 108-113). La sodomia è comprovata se una persona confessa quattro volte di aver commesso questo ‘crimine’, o se esiste una testimonianza di quattro uomini. La testimonianza di una donna unica non costituisce prova di sodomia (art. 114). Lo sfregamento di parti genitali tra partners dello stesso sesso non è punita con la morte ma con 100 frustate, fino alla terza volta. Alla quarta occasione viene applicata la pena di morte (artt. 121 e 122). Se due uomini “stanno in piedi nudi senza coprirsi senza necessità” sono pentrambi puniti con 99 frustate, mentre “baci lussuriosi” tra persone dello stesso sesso sono puniti con 60 frustate (artt. 123 e 124).
Le donne sono punite con 100 frustate per rapporti omosessuali. Come nel caso dell’omosessualità maschile, alla quarta volta entra in gioco la pena di morte.
In Arabia Saudita l’omosessualità è un crimine punito con la massima pena, cioè la pena di morte.
Negli Emirati Arabi Uniti (EAU) la sodomia è punibile con la reclusione fino a 14 anni (art. 8 del Codice penale Abu Zhabi). I rapporti sessuali tra uomini sono inoltre puniti con 10 anni di reclusione dall’art. 177 del codice penale di Dubai. La maggior parte degli abitanti degli EAU sono Sunniti della scuola malichita, secondo la cui interpretazione la sodomia è considerata una zina, cioè una colpa da estinguere piuttosto che da punire. Secondo quest’ottica sia l’uomo sposato che quello non-sposato devono venire messi a morte per lapidazione. Gli EAU limitano fortemente la possibilità di accedere alle telecomunicazioni ed è quindi internet a venire bloccata. L’accesso al sito della Gay-Lesbian Arab Society (www.glas.org), una risorsa importante per la comunità gay in Medio Oriente, è infatti proibito.
Esiste una politica precisa di espulsione dei lavoratori stranieri che abbiano contratto e sviluppato la malattia nella sua forma conclamata o che siano risultati positivi al test dell’HIV. Nel febbraio 1998 gli EAU hanno cominciato a mettere in pratica questo tipo di politica, deportando quei lavoratori stranieri che provenivano dall’India, dal Pakistan, dalla Tailandia e da vari paesi africani. Solo nel 1998 più di 6000 lavoratori stranieri sono stati espulsi perchè malati.
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06 novembre 2006
Un silenzio sporco
Sul blog un fine occhio sul mondo leggo la notizia che la casa di due ragazze omosessuali a Brescia è stata devastata:
"Lunedì 24 ottobre la casa che una giovane ragazza lesbica divide con la sua compagna a Mazzano, Brescia, paesotto di nemmeno diecimila abitanti qui accanto, viene forzata e messa sottosopra, svastiche sui muri e sulla porta, qualcuno piscia sul letto. Soldi che erano in bella mostra non sono stati toccati, lo scopo dell'effrazione è chiaro."
Il resto, una seduta in consiglio comunale in cui il sindaco diessino vota contro un ordina del giorno sui Pacs, i carabinieri del luogo che non vogliono accettare nella denuncia le parole "lesbica" e "omosessualità", più altre piacevolezze del genere potete leggerle direttamente sul blog, in un bel post dal titolo Questa città dai silenzi organizzati.
Sul sito dell'arcigay di Brescia potete trovare invece il testo dell'interrogazione parlamentare sull'accaduto
"Lunedì 24 ottobre la casa che una giovane ragazza lesbica divide con la sua compagna a Mazzano, Brescia, paesotto di nemmeno diecimila abitanti qui accanto, viene forzata e messa sottosopra, svastiche sui muri e sulla porta, qualcuno piscia sul letto. Soldi che erano in bella mostra non sono stati toccati, lo scopo dell'effrazione è chiaro."
Il resto, una seduta in consiglio comunale in cui il sindaco diessino vota contro un ordina del giorno sui Pacs, i carabinieri del luogo che non vogliono accettare nella denuncia le parole "lesbica" e "omosessualità", più altre piacevolezze del genere potete leggerle direttamente sul blog, in un bel post dal titolo Questa città dai silenzi organizzati.
Sul sito dell'arcigay di Brescia potete trovare invece il testo dell'interrogazione parlamentare sull'accaduto
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