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16 gennaio 2009

Un paio di conti

Da leggere l'ultimo articolo di Mastroviti dal titolo Parole in libertà.

14 gennaio 2009

Hamas e i luoghi comuni

E' un blog che vi consiglio di seguire, quello di Giovanni Fontana. Lucido ma appassionato, coinvolto ma sereno, intelligente e sensibile.
Cominciate da questo post Troppi luoghi comuni su Hamas.

30 dicembre 2008

Guerra ed etica

Tra filosofia morale ed etica passano una serie di differenze che sarebbe lungo e inutile elencare, anche perché il termine "etica" sta assumendo significati che prima non aveva. Uno di questi è quello che, in qualche modo, ne sottolinea l'aspetto "pratico". Ecco così le etiche pratiche: etica della comunicazione, etica della scienza, etica dell'economia, e via discorrendo.
Così, nelle lezioni di etica dell'economia spesso una parte del lavoro didattico consiste nel rendere consapevoli gli studenti del loro percorso etico e della morale che sottende le loro etiche pratiche (o il giudizio etico delle azioni). Capita quindi di porre domande quasi banali, alla ricerca di quel filo che possa, in qualche modo, farli riflettere sulla genesi filosofica e culturale delle loro scelte. Trattandosi di studenti del tutto digiuni di filosofia (nel migliore dei casi hanno qualche vaga rimembranza liceale) è spesso compito difficile, per quanto entusiasmante.
E se nella stragrande maggioranza ritengono eticamente inaccettabile (al di là del reato) rapinare una banca armi in pugno (a parte qualche inconsapevole brechtiano) nondimeno hanno pochi dubbi nell'affermare che difendere la propria casa violata da qualche ladruncolo è azione che può e deve (sic!) contemplare anche l'omicidio. La riflessione parte da qui, dal convincimento pressochè generale che rubare soldi altrui sia riprovevole, ammazzare per salvare i propri no. Messi a confronto con il valore immediato, cominciano - vivaddio - i primi dubbi; uccidere per rubare cinquemila euro no, e uccidere per difendere cinquemila euro però nemmeno; i dubbi persistono quando si sale con la cifra. Arrivati a un milione di euro qualcuno comincia a cedere, e esprime la possibilità di essere in grado di compiere un'azione estrema per impadronirsene o per difenderlo. Ma non se si tratta di un amico, o di un familiare, o del familiare di un amico. Insomma, non si uccide chi si conosce, almeno non per interesse. Da qui un altro passo: quando diviene necessario uccidere? La prima risposta è sempre: quando è necessario salvare la nostra vita. Ma qui è imperativo ricominciare i distinguo; la necessarietà deve essere obiettiva, ovvero deve essere riconosciuta. E' necessario - per salvare la nostra vita - uccidere chi ci naccia verbalmente di morte? O chi da lontano fa roteare un bastone? La risposta prevalente è - vivaddio - no. E allora quando? quando l'altrui intenzione diviene azione priva di equivoco interpretativo. Quando, dopo la dichiarazione verbale, l'altrui gesto è evidente, chiaro e distinto (per usare termini cartesiani).
Non esiste, a mio modo di vedere etica della guerra; e con questa dichiarazione mi rendo conto di sollevare non poche obiezioni. Ma devo ammettere che, nella barbarie della guerra, i distinguo tra diciottenne in divisa - lecitamente ammazzabile - e diciottenne senza divisa, inerme civile che deve essere preservato ad ogni costo pena l'esecrazione universale, mi paiono - laddove non tragicamente ridicoli - eticamente inaccettabili. L'idea che si possa concepire un distinguo tra uccisione auspicabile e lecita e uccisione deprecabile e illecita mi pare faccia parte di mascheramento (in termini nicciani) del reale che deve essere genealogicamente svelato.
Non c'è, a mio modo di vedere, etica nella decisione di entrare in guerra. Perchè l'etica si dà solo quando esiste alternativa, quando possiamo scegliere cosa fare, e di questa scelta assumiamo consapevolmente le responsabilità conseguenti. Scegliere di entrare in guerra, scatenare una guerra, è immorale.
La guerra, gli uomini etici e le loro nazioni, la subiscono sempre, anche quando la cominciano, perchè la guerra, così come la legittima difesa, è l'unica alternativa alla morte. E in questo caso, solo in questo caso, si rende necessaria. Necessaria in linguaggio filosofico, laddove "necessario" ha come significato "può essere solo così, e non in altro modo".
Questo fa cadere ogni ipocrita distinzione tra civili e combattenti. Quella ipocrita convinzione che porta molti a pensare che l'auspicio migliore possibile sia una guerra nella quale muoiono solo coloro che portano una divisa. E in questo caso allora sarebbe possibile ricorrere alla guerra per dirimere controversie su confini, petrolio, materie prima and so on.
Come se la morte di un diciottenne senza divisa fosse davvero il MALE.

17 luglio 2008

Scelte incomprensibili

il link di oggi porta a mmax, con un post dal titolo: 30 anni fa, quasi.

07 maggio 2008

01 maggio 2008

Note a margine: Vattimo all'università di Bologna

Su Repubblica di oggi, nella prima pagina dell'edizione locale di Bologna (online potete vedere solo il pdf non leggibile) Franco Carinci, in un editoriale dal titolo Bononia docet ma non la coerenza contesta la decisione del preside di lettere di non concedere un'aula a Gianni Vattimo per illustrare le ragioni del boicottaggio culturale a Israele in occasione della Fiera del Libro di Torino.
Ne ho parlato brevemente qui. (ho mandato più o meno le considerazioni che seguono a repubblica, vediamo che ne fanno)

Le argomentazioni con cui Carinci si oppone alla decisione di Sassatelli sono però ampiamente discutibili, - in tutti i sensi. Le sintetizzo brevemente, visto che online l'articolo non si trova.

Scrive Carinci che l'aula non si poteva negare per ragioni di principio e di opportunità.

Le ragioni di principio le estrinseca con queste parole:
"perchè non si vede come si poteva negare a un professore universitario a pieno titolo cioè non per mero biglietto da visita, ma per autorevolezza scientifica - di dire la sua".

1. mi sfugge la distinzione tra professore universitario a pieno titolo e tra professore universitario per "mero biglietto da visita".
Sarebbe illuminante qualche esempio da parte di Carinci.
Per caso i professori universitari "per mero biglietto da visita" potrebbero essere quelli che su giornali a tiratura nazionale sostengono che la propria disciplina si basa sulla copia e sul plagio come ha fatto Vattimo qualche tempo fa sul Corriere della Sera?

2. Vattimo è docente universitario di filosofia teoretica. Ha chiesto l'aula non per tenere una lezione sulla sua disciplina ma per intervenire su un avvenimento di politica contemporanea. L'essere docenti universitari consente di chiedere l'uso di una struttura pubblica per propagandare le proprie idee sull'universo mondo? E Carinci avrebbe difeso comunque questa richiesta se l'argomento presentato da Vattimo fosse stato la Coppa dei Campioni? E se invece Vattimo avesse voluto illuminarci sulla reale possibilità del moto perpetuo? A mio avviso, l'essere docente universitario di filosofia a questo riguardo non offre particolari privilegi rispetto a essere un operatore ecologico.

Continua Carinci dicendo che quando si parla in università:
"se lo fa un professore, di norma lo fa ex cathedra, con la sua brava lezione che spesso non tollera né interruzioni né domande finali, senza che sia previsto alcun duetto cantilenante"

1. Ormai sono molti anni che bazzico l'università, prima da studente e poi da docente. Devo ammettere che una lezione universitaria senza domande non mi è mai capitata. Non vi ho mai assistito e non ne ho mai tenute. A volte, se non ci sono, mi capita di sollecitarle. Strano ma vero.

2. Si suppone che si parli ex cathedra della propria disciplina. Del proprio ambito di competenze scientifiche e accademiche, non di posizioni politiche che, anzi, come tali devono sostenere il contraddittorio. O dobbiamo ascoltare Vattimo ex cathedra anche quando ci parla delle sue senili infatuazioni per cubani cubisti?

Carinci passa poi alle ragioni di opportunità e scrive:
"E' ben noto che questi gruppi cercano visibilità pubblica e non per nulla avevano questa volta scelto un personaggio come Vattimo, sicché, se si voleva farne parlare in lungo e in largo, questa era la maniera giusta; non solo il divieto avrebbe avuto luogo solo se si fosse stati in grado di garantirne l'osservanza, cosa che già a priori si dava per esclusa."

1. Curiosa argomentazione che esplicita come Vattimo si sia prestato a fare da utile udiota a un gruppo politico che cercava solo pubblicità. Epperò Carinci la responsabilità di questa pubblicità tenta di scaricarla su chi ha cercato di evitare che l'università fosse strumentalizzata da un manipolo di press-agent in pectore.

2. Mi sfugge la coerenza argomentativa del fatto che si possa vietare qualcosa solo se il divieto è efficace. Che significa? Che siccome non possiamo fermare il traffico di organi umani dobbiamo legalizzare la vendita dei reni?

Dopo di che i collettivi occupano un'aula universitaria. E' già accaduto in passato e accadrà ancora in futuro, non mi pare una tragedia. Quello che invece mi sembra il caso di sottolineare è che un professore universitario - Gianni Vattimo - in spregio totale dell'istituzione a cui appartiene, l'università, e in spregio totale del rispetto accademico, sia entrato in quell'aula, novello Wanda Osiris nella ola dei suoi boys "accolto come un trionfatore, con un mistico rigurgito di trasgressione" come acutamente scrive Carinci.

A me pare che Sassatelli non avrebbe potuto comportarsi in maniera migliore. Ha legittimamente negato un'aula universitaria per un'iniziativa ambigua e pubblicitaria e ha mostrato sensibilità e coraggio nell'essere nel luogo che gli studenti avevano occupato, perchè l'università è degli studenti, anche quando sbagliano.

Che ne siano consapevoli o no, gli studenti di Bologna hanno visto in azione due tipi ben diversi di docenti universitari: Sassatelli e Vattimo. Meno male.

27 aprile 2008

Vattimo, il debole

Ordunque, l'università di Bologna e - nello specifico - la facoltà di Lettere e Filosofia non concedono l'aula a Vattimo per la sua filippica contro la Fiera del Libro di Torino e a favore del boicottaggio culturale contro Israele. E di questo siamo particolarmente contenti e felici.
"Noi non siamo obbligati a concedere spazi - spiega il preside al Corriere - figuriamoci se questi servono a propagandare iniziative antidemocratiche, non condivisibili, inaccettabili in una logica di tolleranza. L'Università non può ospitare eventi che incitano al boicottaggio di Israele".


Non sapendo come altro far parlare di sé, Vattimo qualche giorno fa sul corriere ha teorizzato la filosofia come plagio.
Tutti copiano tutti scrive in pratica il debole filosofo Vattimo sul maggior quotidiano nazionale.

Meno male che qualcuno non è d'accordo. Sul giornale. it qui e qui.

Senza equivoci la posizione di Roberta de Monticelli: "«Dissento completamente dall’intervento di Vattimo, è spaventosamente al ribasso, fa diventare tutto lo stesso, è quasi una caricatura del pensiero debole..."

18 maggio 2007

Genialità

Da inminoranza una piccola perla, che riporto per intero.

Dizionario
Cessate il fuoco: locuzione che indica gli intervalli di tempo in cui Israele non risponde agli attacchi di Hamas. Es.: "Dopo due mesi di attacchi con razzi da Gaza, oggi Israele ha rotto il cessate il fuoco bombardando il quartier generale di Hamas"

20 febbraio 2007

Novità sui blog

Sul bellissimo blog di freddynietzsche si apre, dopo quella dedicata a New York, una rubrica da Gerusalemme. Da seguire.

26 novembre 2006

Comprensione

Qualche giorno fa ho richiamato l'attenzione su un post di Mmax che parlava della terrorista suicida Fatma A-Najar. Sulle sue considerazioni sono intervenute poi altre due blogger: rosalux e candide; a questo punto allora vorrei chiarire cosa intendo per "comprensione".

Il primo a distinguere con chiarezza tra "comprendere" e "spiegare" è stato Dilthey, che ha inteso il primo come procedura delle scienze dello spirito mentre il secondo è considerato come il procedere delle scienze naturali e come tale fondato sul concetto di causalità. Per citare le sue parole:
"Il comprendere è un ritrovamento dell'io nel tu [...] Il soggetto del sapere è qui identico con il suo oggetto e questo è il medesimo in tutti i gradi della sua oggettivazione."
Lo strumento proprio del comprendere è per Dilthey l'Erlebnis, l'esperienza vissuta.

Intervengono poi Max Scheler e Martin Heidegger; per Scheler il comprendere implica l'alterità dei sentimenti e la comprensione è fondata sul rapporto simbolico tra le esperienze interne e la loro espressione. Heidegger considera la comprensione come essenziale all'esperienza umana, e ha al suo interno la componente progettuale dell'esistenza.

A conclusione di questo breve intervento stano bene Ricoeur e Levinas che discutono in un testo dal titolo Il pensiero dell'altro.

A un certo punto Levinas dice:
"il volto è nudo, non è vestito, non si può vestirlo, quando viene vestito rimane nascosto, e, contemporaneamente, è il "tu non ucciderai". E' molto difficile uccidere qualcuno che mi guarda in faccia. Di conseguenza, quanto al mio proprio individuo, "io" è l'unico responsabile"

Ricoeur ribatte:
"In parte io penso il rapporto con la morte in questa maniera. Non si tratta semplicemente della scomparsa di un volto, è anche la continuazione della conversazione e del linguaggio. Sono entrato in una conversazione che mi ha preceduto, ho cercato di prendervi parte facendo del mio meglio ed essa continuerà dopo di me."

Ecco, nel post di mmax, nei richiami di rosalux e di candide sulla vicenda di questa donna io ho trovato la "comprensione", ho ritrovato l'umanità di Fatma A-Najar, quell'umanità, quel volto, quell'esistenza che lei ha voluto negarsi, che spietatamente hanno voluto negarle coloro che le hanno legato una bomba al ventre (quel ventre che tante volte aveva sconfitto la morte donando la vita), e che ancora dopo la sua morte vogliono negarle tanti avvoltoi nazisti che vorrebbero far diventare il suo esserci un simbolo di morte.

24 novembre 2006

rosalucsemburg

Ci sono giornate fortunate e piene di frutti a volte, quando si "perde tempo" a leggere blog.
Ma oggi con la lettura mi fermo al blog di rosalux, perchè il suo post Di ottimo umore è senza dubbio la lettura migliore che oggi propone la blogosfera.

21 novembre 2006

Sinistra

Le manifestazioni di Roma e Milano di qualche giorno fa hanno suscitato una serie di riflessioni e di articoli. Oggi mi piace sottoporvi quella di freddynietzsche.



19 novembre 2006

mmax

Alcune considerazioni sulla manifestazione di Roma mi riprometto di scriverle con calma. Ma il post di mmax Memo per i brucia fantocci tocca un punto dolente che è bene considerare.

15 novembre 2006

D'Alema

A dispetto del titolo scrivere un post sulle ultime dichiarazioni di D'Alema ecco, proprio non riesco a farlo. Leggo quello che dice, lo vedo - qualche volta - in televisione e immediatamente mi viene voglia di essere altrove. Qualcuno, che lo sopporta anche meno di me, mi dice che comunque è da stimare per l'intelligenza. A me pare solo un buon esempio di social engineering, in sedicesimo però, se paragonato ad Andreotti. Rispettate voi l'intelligenza di Andreotti? Io no. Ho ancora atteggiamenti e pensieri che legano l'intelligenza all'etica. Quindi, per un commento alle ultime dichiarazioni di D'Alema vi rimando al blog di rosalux, e per la precisione ad un post intitolato La solitudine di Israele non senza ricordarvi che è proprio quel D'Alema che oggi ha rilasciato dichiarazioni di grande elogio alla Cina, paese ben classificato nell'hit parade delle condanne a morte e nello spregio dei diritti umani (così solo per ricordarne due aspetti).

10 novembre 2006

09 novembre 2006

Gay pride /2

Dal blog di Rolli recupero un articolo apparso sul Corriere della Sera il 29 febbraio 2004. Mi piace pensare che gli uomini di cui si parla siano al Gay Pride, liberi di essere.

Essere gay palestinesi e dover fuggire in Israele
Costretti a rifugiarsi in Israele per sfuggire alla tortura, alle accuse di collaborazionismo e alla morte. Per mano dei loro stessi familiari.
La troppa vodka e la luce gialla dei lampioni, la pioggia che certe notti colpisce come sputi gelidi e i risvegli sulle panchine della stazione non hanno guastato lo sguardo da ragazzino di Ahmed. Lo sa lui, lo vedono i clienti, quando abbassano il finestrino, scambiano qualche parola, contrattano un’ora di sesso. Ahmed è palestinese, è gay, è scappato in Israele dopo che un giorno gli estremisti di Hamas erano andati a cercarlo a casa. A Tel Aviv dorme dove può - da un amico, da uno sconosciuto incontrato in una sauna - e deve nascondersi dalla polizia perché qui è un clandestino. Ma almeno non deve più nascondersi dai fratelli, che lo ammazzerebbero per cancellare il disonore dalla famiglia.
«Vivo in Israele dal 1998, quattro anni fa sono tornato in Cisgiordania: c’erano i funerali di mio padre». Quella volta ha rischiato troppo, è stata l’ultima. «I poliziotti palestinesi - ricorda Ahmed, che ha 23 anni e ha chiesto di non usare il vero nome - sono riusciti a fermarmi. Mi hanno portato in una caserma, picchiato. Ho passato la notte immerso in una fossa piena d’acqua di fogna. Volevano farmi confessare di essere un collaborazionista, di fare la spia per gli israeliani. Mi hanno rilasciato solo dopo che mio zio ha pagato. Mia madre mi ha dato dei soldi e mi ha detto di sparire per sempre. Da allora non ho più visto il mio villaggio».
Ahmed è sempre inquieto, sulla difensiva, come se ogni mattina si svegliasse dallo stesso incubo. Lo stesso che vivono altri trecento omosessuali palestinesi rifugiati in Israele. Come lui raccontano di essere stati perseguitati e torturati, come lui hanno imparato l’ebraico in fretta - cancellando l’accento arabo - e in fretta hanno imparato a riconoscere i poliziotti in borghese. Non sono un gruppo, non sono amici, è difficile fidarsi degli altri quando ci si sente braccati: quando un’espulsione verso Gaza o la Cisgiordania diventa una condanna a morte.
Frequentano le stesse strade, le vie buie della prostituzione attorno al quartiere della vecchia stazione degli autobus. Tutti chiamano quest’area Electricity Garden, ma di erba non c’è traccia e le luci sono poche. Qui Shaul Gonen passa le notti, offrendo aiuto, vestiti, qualcosa da mangiare. íˆ un omosessuale israeliano, mezzo greco e mezzo italiano, gigante mite. Con l’associazione Aguda assiste, anche legalmente, i ragazzi del «Garden». Che ormai riconoscono la sua mole e quando si avvicina, parlano con lui. «I più terrorizzati hanno aspettato un anno prima di rivolgermi la parola» spiega mentre elenca - mamma orgogliosa dei suoi figli - i nomi degli adolescenti che scorge appoggiati ai muri di ammuffiti palazzi anni Trenta.
«La maggior parte di quelli che scappano - continua - ha tra i 14 e i 18 anni. Questo è l’unico Paese del Medio Oriente dove possono venire, la nostra società è molto aperta verso i diritti degli omosessuali. L’Autorità palestinese li accusa di collaborazionismo per poterli arrestare: in passato i servizi segreti israeliani avrebbero fatto pressioni sui gay per usarli come informatori. Raccontano di essere stati torturati dai padri e dai fratelli maggiori. Qualcuno mi ha detto che gli estremisti hanno provato a farne dei kamikaze per riscattare l’onta con la morte».
I maltrattamenti sono stati denunciati anche dal Dipartimento di Stato americano, nel rapporto sui diritti umani del 2003: «Nei territori gli omosessuali sono stati vittime di molestie, di abusi, alcuni di loro sono finiti in carcere». Wael Abu Lafi, del General Prosecution Committee palestinese, nega: sostiene che non c’è stato un solo caso di gay arrestato e processato. Ma ammette: «L’omosessualità è contro i nostri codici sociali, la nostra tradizione. íˆ contro l’Islam. Non potete fare paragoni con l’Europa. Da noi gli omosessuali mantengono il segreto, non si sa niente di loro. In ogni caso l’omosessualità è punita come un reato minore».
Il Parlamento sta preparando una nuova legge, prevede condanne dai tre ai cinque anni: richiede ancora una seconda e una terza lettura prima che venga presentata a Yasser Arafat per l’approvazione finale. «Se l’omosessualità venisse decriminalizzata - commenta Isam Abdeen, professore all’Università Al Quds e consulente dell’Assemblea legislativa - ci sarebbe il caos sociale, una guerra civile. Non può essere considerata una forma di libertà, è un’offesa. Nessun politico palestinese la difenderebbe mai come pratica di libertà personale».
Solo trentatré ragazzi hanno accettato di iscriversi ad Aguda, anche se la tessera con i colori dell’arcobaleno potrebbe salvare loro la vita: Shaul ha arrangiato un accordo informale con la polizia, perché non espella i giovani nella sua lista. «Entrare a far parte di un’associazione omosessuale è molto difficile - spiega Shaul - quasi non ammettono con se stessi di essere gay». Shaul è un israeliano di sinistra, di quelli che manifestano contro l’ «occupazione». «Alcuni amici mi hanno accusato di fare il gioco della destra - dice - perché denuncio le violenze contro gli omosessuali nei territori. Io so che l’occupazione è sbagliata, che devono nascere due Stati, conosco le sofferenze dei palestinesi. Ma se vogliono il rispetto dei diritti umani, devono imparare a rispettare quelli di chi è diverso, fuori dalla loro mentalità, cultura o religione».
Sulla schiena Mohammed porta ancora i segni delle ultime quattro ore trascorse nel soggiorno della casa in cui è nato. Quando il padre, la madre e uno dei fratelli l’hanno legato a una colonna e hanno cominciato a colpire. Con un tubo di plastica, con i cavi, con i ferri arroventati. Alza la maglietta per mostrare le cicatrici, un gesto che fa con timidezza come se non fosse diventato il rito delle sere in cui cerca un letto per dormire. «íˆ stato mio fratello a scoprirmi - ricorda -. Ero rimasto da solo e avevo invitato un ragazzo conosciuto al mercato. Ci ha sorpresi nudi sul letto. Per mesi non ha detto nulla ai miei genitori, ma ogni mattina mi minacciava "oggi parlo", un giorno lo ha fatto».
Mohammed - 21 anni, non è il suo vero nome - è scappato dalla Cisgiordania alla prima occasione, le ciabatte ai piedi, indosso una maglietta e i pantaloni. All’inizio non voleva andare con i clienti, ancora adesso non ammette di prostituirsi.
Non sa spiegare come trova i soldi, abbassa gli occhi scuri, ripete che lui sta lontano dalla droga e dall’alcol. íˆ stato in carcere undici mesi con l’accusa di aver rubato un telefonino, è uscito in agosto. «Non parlo con la mia famiglia da quando sono qui - dice -. Credo che solo mia sorella più grande sarebbe disposta ad aiutarmi, se la situazione fosse diversa. Così per lei è impossibile».
Shaul sta tentando di far accogliere Mohammed in un Paese europeo. «In cinque anni - spiega - la nostra associazione è riuscita a mandare all’estero otto uomini e tre donne. La convenzione Onu del 1951, firmata anche da Israele, garantisce il diritto d’asilo a chi è perseguitato a causa dell’orientamento sessuale. Ma per questi giovani palestinesi è molto difficile ottenere lo status di rifugiati o anche solo il permesso di soggiorno. Per loro è comunque meglio andare a vivere lontano dai familiari.
I parenti arabi israeliani la sera pattugliano le strade di Tel Aviv dove si prostituiscono». «Venire qui - commenta Donatella Rovera di Amnesty International - è un biglietto di sola andata. Il governo israeliano dovrebbe almeno metterli nelle condizioni di lasciare il Paese».
Mohammed vorrebbe svegliarsi con il cuscino bianco, non coperto dai capelli che ha perso nella notte. «Sono gli incubi. Non riesco a sognare, a pensare: "Se avessi un milione di dollari comprerei questo o quello". Voglio solo aprire gli occhi e dire: "Io non ho paura"»
Davide Frattini Corriere della Seradel 29 febbraio

08 novembre 2006

Israele: World Gay Pride

C'ero a Roma e a Milano. Domani non potrò essere a Gerusalemme.
Ma qui trovate la mappa del percorso e una serie di informazioni utili.
Ne parla anche mmax di bloggoanchio.