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29 luglio 2008

Domande

La notizia è questa: Prete pedofilo, il muro di gomma della Curia; una delle tante, anzi in Italia una delle poche. Tralasciamo per un attimo il prete condannato. E tralasciamo anche il problema delle gerarchie vaticane e di come (non) affrontano la questione; e guardiamo la cosa da un altro punto di vista. Dal punto di vista individuale, che mi pare sia affrontato raramente. E la domanda è: che razza di individuo è quella persona che viene a sapere che un bambino è (forse) stato violentato e per prima cosa si preoccupa di insabbiare la questione?

Perché si parla sempre di gerarchie, vaticane in questo caso, di istituzioni, di ruoli. E mai di persone.
E invece sono quelle che mi interessano adesso. Ora, un monsignore qualunque sta nel suo ufficio, e una bella mattina chiede di essere ricevuto un genitore, una suora, un educatore; e gli dice che ha il forte sospetto che il suo parroco si diletti con i pargoli. Una persona "normale" secondo voi che reazione ha? E' questo che non mi spiego. Poi viene convocato da un magistrato. E si nega. E non dice. E nega. E parliamo di bambini violentati, non di evasione fiscale, traffico di stupefacenti, lavoro nero, tutte cose che hanno i loro estimatori e che possono essere difese con argomentazioni razionali e credibili.

Il titolo del giornale è errato. Non è il muro di gomma della curia. Non c'era la curia davanti al magistrato. C'era monsignor Vecchi.

Ma voi, con monsignor Vecchi, andreste a prendere un caffe'? Io no.

13 marzo 2007

Ritorni

Il pensiero morale del settecento è uno dei ciclici ritorni dei miei studi. Per una ragione o per l’altra finisco sempre per tornarci sopra.

Sugli inglesi e sugli scozzesi, in primo luogo; oggi ho passato la mia giornata su questi due, e domani si replica.

Shaftesbury scrive il Saggio sulla virtù e il merito prima di avere vent’anni; sostiene che l’uomo distingue, in maniera immediata e intuitiva, il bene dal male con quello che definisce moral sense, che considera il vero fondamento delle passioni umane.

Influenzato dal platonismo di Cambridge, intende il sentimento morale come innato, anche se suscettibile di modifica dall’ambiente e dall’educazione; e, come per ogni bravo platonico, anche per Shaftesbury chi cede al male è in primo luogo un infelice, perché non vive in armonia.

Sulla medesima linea, ma con sensibilità più vicina all’empirismo lockeano si muove Hutcheson, che ha però da parte sua l’esigenza di demolire le riflessioni di Mandeville (se non avete ancora letto La favola delle api correte a farlo); dapprima scrive il Saggio sull’origine delle nostre idee di bellezza e di virtù, poi il Sistema di filosofia morale, testi sui quali si formeranno, tra gli altri, David Hume e Adam Smith.

21 marzo 2006

Morale

Da: Hannah Arendt Responsabilità e giudizio, pp. 83-84 :

"La morale concerne l'individuo nella sua singolarità. Il criterio del giusto e dell'ingiusto, la risposta alla domanda "cosa devo fare?" non dipende in sostanza dagli usi e costumi che io mi trovo a condividere con chi mi vive accanto, né da un comando di origine divina o umana - dipende solo da ciò che io decido di fare guardando a me stesso. In altre parole, io non posso fare certe cose, poiché facendole so che non potrei più vivere con me stesso. Questo vivere-con-se-stessi è qualcosa di più della coscienza o dell'autocoscienza che sempre mi accompagna nel fare certe cose e nel dire che le sto facendo. Essere con se stessi e giudicare se stessi è qualcosa che concerne il pensiero, e ogni processo di pensiero è un'attività in cui io parlo con me stesso di tutto quanto accade e mi riguarda. Il modo di esistere tipico di questo dialogo silenzioso tra me e me lo chiamerà adesso solitudine. Ciò significa che la solitudine è qualcosa di diverso dal semplice stare da soli, e soprattutto è qualcosa di diverso dall'isolamento."
Perché questa citazione? Perché tra qualche tempo dovrò fare un intervento sulla morale e mi piacerebbe cominciare con questa frase della Arendt.