Per continuare la serie biografica delle "pillole per niubbi" stavolta ho scelto di parlare di Descartes, - che ho già nominato qui, per mere vicende esistenziali - poi questo post avrebbe dovuto uscire per il suo genetliaco (31 marzo). Ritardo per ritardo, finalmente ringrazio l'orologiaiomiope, perchè è dai suoi splendidi ritratti di animali che ho preso l'idea delle "pillole per niubbi".
Altra premessa: Descartes parla quasi sempre in prima persona, il suo procedimento è autobiografico anche quando intende presentare le sue riflessioni in forma oggettiva e universale. Così, tanto per cominciare a inquadrare il personaggio.
Ora, Descartes è assolutamente fondamentale per qualsiasi storia della filosofia, non c'è manuale che non lo identifichi come il punto di partenza della filosofia moderna, il momento della svolta del sapere e del pensiero filosofico. Dopo aver letto questo, in qualsiasi manuale nelle pagine seguenti c'è il florilegio delle cazzate cartesiane; sembra che Cartesio non ne abbia azzeccata una: dalla prima obiezione di Hobbes, che al cogito ergo sum contrappone un geniale "cammino quindi sono una passeggiata", alla ghiandola pineale, alla teoria dei vortici (che in Inghilterra ancora si sbellicano dalle risate).
Descartes nasce il 31 marzo del 1596, nel Poitou - veramente nacque a La Haye, perché mammà non voleva stare sola e siccome il marito era lontano ne aveva approfittato per fare i venticinque chilometri che la separavano dalla casa dei genitori e far nascere il figlio colà. Fortunatamente la storia ha lasciato poche tracce di questa donna che ha rischiato di cambiare, per un capriccio da gravida ansiosa, la storia della filosofia occidentale e nonostante tutto gli amici chiamarono sempre Cartesio "René le Poitevin". Essì, perchè La Haye sta nella Touraine, a maggioranza cattolica, al contrario del Poitou che invece era a maggioranza protestante, e quindi Cartesio, di famiglia fervidamente cattolica, finisce per crescere in una regione protestante, e allevato da una altrettanto fervente istitutrice cattolica. Il risultato fu che per tutta la vita ebbe una salutare paura dell'Inquisizione preferendo vivere perlopiù in paesi protestanti, dove magari lo attaccavano (ma pure poco) in quanto cattolico, ma non attentavano seriamente alla sua salute.
La Haye in quegli anni non era un gran posto dove vivere, tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento ci passò parecchie volte la peste, e il nome della cittadina (adesso si chiama Descartes) derivava direttamente dalle siepi spinose che venivano piantate come vana difesa contro le scorriere dei briganti. Poi nel 1596, l'anno della nascita del nostro appunto, arrivò da quelle parte il duca d'Anjou e dei briganti si persero le tracce (tralasciamo il come, alquanto sanguinoso).
Cartesio ricorda la sua infanzia, felice nonostante la morte della madre - quattro figli in quattro anni - a zonzo per le campagne e a contatto con la natura e gli animali. Insomma, la cautela nell'allevare bambini deve essere massima, se la storia può insegnare qualcosa.
La famiglia era ricca, senza tanti fronzoli, era proprio ricca; sia dal lato paterno che da quello materno, e da entrambe le ascendenze formata da medici. Medici pieni di fervore per la ricerca se il bisnonno di Cartesio, Jean Ferrand, - medico personale della regina Eleonora d'Asburgo, figlia di Giovanna la Pazza (che poi tanto pazza non era) e moglie di Francesco I di Francia, - non ebbe esitazioni nel fare l'autopsia al genero, morto di calcolosi renale, e pubblicare pure la relazione autoptica in latino. Comunque sia, diventato grande, Cartesio deve perdere un sacco di tempo per curare gli affari di famiglia, soprattutto proprietà terriere, che gli consentirono di fare il filosofo senza troppe preoccupazioni quotidiane. E anche di togliersi lo sfizio di fare il gentiluomo d'arme, senza peraltro partecipare mai a una battaglia.
A undici anni Cartesio entra nel collegio gesuita di La Flèche, e ci resta per otto anni; a ragione della sua salute cagionevole (e dei soldi di papà) ha un trattamento di favore, e non da poco. La disciplina dei gesuiti è abbastanza nota, e invece il giovane Renè viene esentato dal seguire le regole orarie del collegio. Può poltrire a letto e andare in classe quando se la sente; abitudine che manterrà tutta la vita, quella di svegliarsi tardi e rimanere a letto a pensare finchè non si sentiva abbastanza riposato da alzarsi.
Insomma gli altri avevano orari da facchini, estate e inverno, tutti in piedi alle cinque di mattina. Tra le cinque e le cinque e quarantacinque preghiera e lavacri mattutini, poi fino alle sette studio e colazione. Alle sette e mezza in classe fino alle dieci, poi a messa, poi a pranzo. Alle tredici e trenta di nuovo in classe fino alle sedici e trenta (o diciassette e trenta d'estate); Cartesio più o meno compariva per le lezioni del pomeriggio, e non era tra gli studenti più popolari, e capiamo anche perché.
Il curriculum studiorum di La Flèche era di prim'ordine. Latino, greco, retorica, filosofia, matematica. E Aristotele, tanto Aristotele, sopra tutto? Aristotele. Il che rende le periodiche affermazioni di Cartesio (ho fatto tutto da solo, ho pensato tutto io) alquanto poco credibili.
Si diverte Cartesio dai gesuiti, dorme, tira di scherma, studia quello che gli pare e seppellisce anche il cuore di un re. Fa parte infatti dei ventiquattro allievi che scortano all'ultimo riposo il cuore - solo quello - di Enrico IV ucciso da un fanatico cattolico.
Di Enrico IV si ricordano due frasi famose "Parigi val bene una messa" e "un pollo in ogni pentola". Il suo assassino invece inaugura una scuola di pensiero che arriva fino a Lee Oswald "Ho fatto tutto da solo".
Nel 1615 Cartesio lascia il collegio e si trasferisce a Poitiers a studiare diritto. Si laurea in un anno, e non si capisce come visto che passa buona parte delle sue giornate a tirare di scherma e andare a cavallo. Nel pomeriggio, ovviamente. Dopo la laurea decide di andare a Parigi, ma il padre non è molto contento della decisione; René lo convince che deve andarci per completare la sua formazione e allora papà acconsente, non senza mandargli dietro un valletto e un paio di domestici. Un valletto scelto da René, naturalmente, che non si muoverà mai senza almeno tre domestici al seguito, per tutta la vita.
La Parigi in cui arriva Cartesio è quella dei Tre moschettieri (sapevate che Dumas padre era mulatto?), per intenderci, damerini azzimati che uscivano con la spada lucente al fianco, vestiti di seta e broccato, eleganti, cicisbei e un po' guasconi. E Cartesio era tra i primi, giovane provinciale pieno di soldi sbarcato nella capitale, colto e raffinato.
Beve, gioca d'azzardo, balla alle feste. A Parigi gli passano tutti i mali che l'avevano caratterizzato come cagionevole; non soffre più di niente e può passare le notti in giro a far casino. A Parigi ritrova anche Marin Mersenne, vecchia conoscenza del collegio che ha preso i voti e fa il gesuita. E meno male che lo ritrova perché almeno con Mersenne qualcosa studia (matematica e musica, perlopiù). Dopo un anno di bagordi si stufa e decide che deve rimettersi in riga, ma gli amici sono sempre alla sua porta, c'è sempre una festa, un concerto, una donna; per tagliare la testa al toro Cartesio decide di cambiare casa e non da a nessuno il nuovo indirizzo; va a stare in un posto che allora era quasi fuori città, vicino alla chiesa di Saint-Germain-des-Prés. Resta nascosto per quasi un anno, studia, scrive, pensa. E dorme. Poi si stanca anche della vita da intellettuale recluso e quando viene a sapere che Maurizio di Nassau, principe di Orange sta cercando volontari per il suo esercito licenzia i domestici e parte con il valletto per andare in Olanda ad arruolarsi. Il fatto che il principe di Orange sia un protestante non gli turba minimamente il sonno. (segue)
Socrate - seconda parte
Socrate - prima parte
Giordano Bruno - seconda parte
Giordano Bruno - prima parte
Tommaso Campanella
Pico della Mirandola
Altra premessa: Descartes parla quasi sempre in prima persona, il suo procedimento è autobiografico anche quando intende presentare le sue riflessioni in forma oggettiva e universale. Così, tanto per cominciare a inquadrare il personaggio.
Ora, Descartes è assolutamente fondamentale per qualsiasi storia della filosofia, non c'è manuale che non lo identifichi come il punto di partenza della filosofia moderna, il momento della svolta del sapere e del pensiero filosofico. Dopo aver letto questo, in qualsiasi manuale nelle pagine seguenti c'è il florilegio delle cazzate cartesiane; sembra che Cartesio non ne abbia azzeccata una: dalla prima obiezione di Hobbes, che al cogito ergo sum contrappone un geniale "cammino quindi sono una passeggiata", alla ghiandola pineale, alla teoria dei vortici (che in Inghilterra ancora si sbellicano dalle risate).
Descartes nasce il 31 marzo del 1596, nel Poitou - veramente nacque a La Haye, perché mammà non voleva stare sola e siccome il marito era lontano ne aveva approfittato per fare i venticinque chilometri che la separavano dalla casa dei genitori e far nascere il figlio colà. Fortunatamente la storia ha lasciato poche tracce di questa donna che ha rischiato di cambiare, per un capriccio da gravida ansiosa, la storia della filosofia occidentale e nonostante tutto gli amici chiamarono sempre Cartesio "René le Poitevin". Essì, perchè La Haye sta nella Touraine, a maggioranza cattolica, al contrario del Poitou che invece era a maggioranza protestante, e quindi Cartesio, di famiglia fervidamente cattolica, finisce per crescere in una regione protestante, e allevato da una altrettanto fervente istitutrice cattolica. Il risultato fu che per tutta la vita ebbe una salutare paura dell'Inquisizione preferendo vivere perlopiù in paesi protestanti, dove magari lo attaccavano (ma pure poco) in quanto cattolico, ma non attentavano seriamente alla sua salute.
La Haye in quegli anni non era un gran posto dove vivere, tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento ci passò parecchie volte la peste, e il nome della cittadina (adesso si chiama Descartes) derivava direttamente dalle siepi spinose che venivano piantate come vana difesa contro le scorriere dei briganti. Poi nel 1596, l'anno della nascita del nostro appunto, arrivò da quelle parte il duca d'Anjou e dei briganti si persero le tracce (tralasciamo il come, alquanto sanguinoso).
Cartesio ricorda la sua infanzia, felice nonostante la morte della madre - quattro figli in quattro anni - a zonzo per le campagne e a contatto con la natura e gli animali. Insomma, la cautela nell'allevare bambini deve essere massima, se la storia può insegnare qualcosa.
La famiglia era ricca, senza tanti fronzoli, era proprio ricca; sia dal lato paterno che da quello materno, e da entrambe le ascendenze formata da medici. Medici pieni di fervore per la ricerca se il bisnonno di Cartesio, Jean Ferrand, - medico personale della regina Eleonora d'Asburgo, figlia di Giovanna la Pazza (che poi tanto pazza non era) e moglie di Francesco I di Francia, - non ebbe esitazioni nel fare l'autopsia al genero, morto di calcolosi renale, e pubblicare pure la relazione autoptica in latino. Comunque sia, diventato grande, Cartesio deve perdere un sacco di tempo per curare gli affari di famiglia, soprattutto proprietà terriere, che gli consentirono di fare il filosofo senza troppe preoccupazioni quotidiane. E anche di togliersi lo sfizio di fare il gentiluomo d'arme, senza peraltro partecipare mai a una battaglia.
A undici anni Cartesio entra nel collegio gesuita di La Flèche, e ci resta per otto anni; a ragione della sua salute cagionevole (e dei soldi di papà) ha un trattamento di favore, e non da poco. La disciplina dei gesuiti è abbastanza nota, e invece il giovane Renè viene esentato dal seguire le regole orarie del collegio. Può poltrire a letto e andare in classe quando se la sente; abitudine che manterrà tutta la vita, quella di svegliarsi tardi e rimanere a letto a pensare finchè non si sentiva abbastanza riposato da alzarsi.
Insomma gli altri avevano orari da facchini, estate e inverno, tutti in piedi alle cinque di mattina. Tra le cinque e le cinque e quarantacinque preghiera e lavacri mattutini, poi fino alle sette studio e colazione. Alle sette e mezza in classe fino alle dieci, poi a messa, poi a pranzo. Alle tredici e trenta di nuovo in classe fino alle sedici e trenta (o diciassette e trenta d'estate); Cartesio più o meno compariva per le lezioni del pomeriggio, e non era tra gli studenti più popolari, e capiamo anche perché.
Il curriculum studiorum di La Flèche era di prim'ordine. Latino, greco, retorica, filosofia, matematica. E Aristotele, tanto Aristotele, sopra tutto? Aristotele. Il che rende le periodiche affermazioni di Cartesio (ho fatto tutto da solo, ho pensato tutto io) alquanto poco credibili.
Si diverte Cartesio dai gesuiti, dorme, tira di scherma, studia quello che gli pare e seppellisce anche il cuore di un re. Fa parte infatti dei ventiquattro allievi che scortano all'ultimo riposo il cuore - solo quello - di Enrico IV ucciso da un fanatico cattolico.
Di Enrico IV si ricordano due frasi famose "Parigi val bene una messa" e "un pollo in ogni pentola". Il suo assassino invece inaugura una scuola di pensiero che arriva fino a Lee Oswald "Ho fatto tutto da solo".
Nel 1615 Cartesio lascia il collegio e si trasferisce a Poitiers a studiare diritto. Si laurea in un anno, e non si capisce come visto che passa buona parte delle sue giornate a tirare di scherma e andare a cavallo. Nel pomeriggio, ovviamente. Dopo la laurea decide di andare a Parigi, ma il padre non è molto contento della decisione; René lo convince che deve andarci per completare la sua formazione e allora papà acconsente, non senza mandargli dietro un valletto e un paio di domestici. Un valletto scelto da René, naturalmente, che non si muoverà mai senza almeno tre domestici al seguito, per tutta la vita.
La Parigi in cui arriva Cartesio è quella dei Tre moschettieri (sapevate che Dumas padre era mulatto?), per intenderci, damerini azzimati che uscivano con la spada lucente al fianco, vestiti di seta e broccato, eleganti, cicisbei e un po' guasconi. E Cartesio era tra i primi, giovane provinciale pieno di soldi sbarcato nella capitale, colto e raffinato.
Beve, gioca d'azzardo, balla alle feste. A Parigi gli passano tutti i mali che l'avevano caratterizzato come cagionevole; non soffre più di niente e può passare le notti in giro a far casino. A Parigi ritrova anche Marin Mersenne, vecchia conoscenza del collegio che ha preso i voti e fa il gesuita. E meno male che lo ritrova perché almeno con Mersenne qualcosa studia (matematica e musica, perlopiù). Dopo un anno di bagordi si stufa e decide che deve rimettersi in riga, ma gli amici sono sempre alla sua porta, c'è sempre una festa, un concerto, una donna; per tagliare la testa al toro Cartesio decide di cambiare casa e non da a nessuno il nuovo indirizzo; va a stare in un posto che allora era quasi fuori città, vicino alla chiesa di Saint-Germain-des-Prés. Resta nascosto per quasi un anno, studia, scrive, pensa. E dorme. Poi si stanca anche della vita da intellettuale recluso e quando viene a sapere che Maurizio di Nassau, principe di Orange sta cercando volontari per il suo esercito licenzia i domestici e parte con il valletto per andare in Olanda ad arruolarsi. Il fatto che il principe di Orange sia un protestante non gli turba minimamente il sonno. (segue)
Socrate - seconda parte
Socrate - prima parte
Giordano Bruno - seconda parte
Giordano Bruno - prima parte
Tommaso Campanella
Pico della Mirandola
6 commenti:
ipazia> sapevate che Dumas padre era mulatto?
Ma per chi ci prendi? Basta guardare uno qualsiasi dei suoi ritratti e dar la stura al pregiudizio!
Devo aver anche ricordato da qualche parte, ma forse non avevo ancora un blog, che in quanto "octoroon" se Alexandre Dumas fosse nato negli USA sarebbe stato privo dei diritti civili, con ogni probabilità uno schiavo.
Destino non poi improbabile perché lo subirono tanti suoi compatrioti (e compatriote) di origine caraibica come la sua, i cui antenati erano riparati per propria disgrazia in Louisiana invece che in Europa. Le "quadroon" e le "octoroon" di Haiti e Santo Domingo erano le prostitute piú ambite nei bordelli di New Orleans e le piú fortunate si trovavano un amante bianco e ricco, finché erano giovani.
Trovo abbastanza divertente il tono con cui un anonimo autore di Wikipedia narra, come se si trattasse di una lontana leggenda, che i termini descrittivi razziali erano già "quasi completamente caduti in disuso alla fine del ventesimo secolo": ben otto anni fa. Quasi.
Di Cartesio apprezzo soltanto gli assi cartesiani, che per altro sembra abbia inventato proprio lui (contemporaneamente a Fermat).
fb: bacio! :-*
Anche Puškin ci aveva l'antenato di colore. Non c'entra un fico secco, lo so, ma devo pur adattarmi al clima erudito di post e commenti. Attendo con lieta impazienza la seconda puntata!
ecco vedi? di Puškin non lo sapevo.
@Ipazia: Maurizio di Nassau? Mi cojioni!
@Luca Tassinari: Non mi adatto al clima erudito, ma attendo anchio con ansia la seconda puntata. IMVHO Ipa dovrebbe scrivere un bel testo divulgativo su questo tono.
Ale, mi leggi nel pensiero. Certo, a questo ritmo il libro lo vedremo tra quindici o vent'anni. Ma non abbiamo mica fretta, nevvero.
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