05 ottobre 2006

Università

Girovagando per il web ho trovato un interessante articolo di Luigi Guiso.
Vale la pena secondo me riprodurlo per intero, anche se di qualche mese fa.

07-06-2006
Un’università allo stremo
di Luigi Guiso - tratto da lavoce.info

È coralmente accettato che l'università italiana è allo stremo. Al di là di sporadiche voci a sua difesa dettate da interessi di bottega, gli osservatori indipendenti - a cominciare dal Governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi - concordano sul declino della nostra accademia.
Nelle graduatorie internazionali non vi è traccia delle università italiane: scomparse. Non se ne trova alcuna tra le principali dieci al mondo; ma neanche tra le principali dieci in Europa (sette inglesi, due francesi e una svizzera). Se si consulta la classifica di Webometrics oppure quella del Times degli atenei del mondo, dopo innumerevoli bandiere a stelle a strisce, diverse bandiere di sua maestà britannica, qualche tricolore francese e un certo numero di bandiere tedesche, si scorge una bandierina bianca rossa e verde al centocinquantatreesimo posto. Tiriamo un sospiro di sollievo? Sì, ma solo per poco: è l'Universad Nacional Autonoma de Mexico. La prima italiana, Bologna, appare al centonovantaquattresimo. È la stessa che nel XIII e XIV secolo era la miglior accademia al mondo e attraeva studenti da tutta Europa, oggi è ridotta al rango di università di provincia.
Alcuni anni fa, durante una visita all'università felsinea, mi fu riferito che l'allora rettore stimava il distacco del suo ateneo dalla frontiera della ricerca accademica in 30-50 anni. Significa che la ricerca che oggi produce in media la miglior università italiana è del livello di quella che Harvard - la frontiera odierna - produceva tra il 1950 e il 1970.
È come se nel 2006 la Fiat fosse solo in grado di progettare e immettere nel mercato l'850 color caffèlatte senza marmitta catalittica o, al meglio, la Fiat 127: gloriose (forse) allora, invendibili oggi. Ma le auto caffèlatte sono finite fuori mercato, i professori no. Non c'è mercato che li minacci, non c'è concorrenza che li disciplini. Anzi, controllando gli accessi sono anche in grado di eliminare pericolosi concorrenti, ovvero i ricercatori più bravi, come Roberto Perotti ha più volte documentato su questo sito.

Una ricetta semplice

Capire le cause del collasso è utile e molti lo hanno fatto. Ma più importante è dire come rimediare. Un bel rompicapo anche per un ministro di buona volontà e di talento come l'onorevole Fabio Mussi.
In un articolo sul Sole-24Ore di qualche giorno fa, Luigi Zingales ha proposto di risolvere il problema nell'unico modo possibile: iniettando dosi di concorrenza nel sistema universitario. La proposta di Zingales vuole fornire gli incentivi giusti per accrescere ciò che più manca alle nostre università: la qualità. Se gli studenti pagano (usando il prestito statale), hanno incentivo a pretendere; poiché il valore legale è abolito, ciò che conta è la reputazione dell'università e quindi la sua qualità. Studenti di miglior talento sono interessati a scegliere le università migliori e le università hanno incentivo ad attrarli.
Per poterlo fare devono migliorare la qualità, quindi assumere docenti di calibro - anziché amici, parenti e portaborse - e fornire incentivi giusti a quelli esistenti. L'autonomia contabile e organizzativa è il corollario: per poter sviluppare la sua politica, ciascuna università deve avere libertà di manovra. Chi abusa di questa libertà ne pagherà le conseguenze perché attrarrà meno studenti e di minor qualità e quindi meno risorse.
Il meccanismo è impeccabile. È anche implementabile? Sì, se si volesse, ma al ministro Mussi non piace. La sua obiezione è che quel meccanismo porterebbe rapidamente alla nascita "dell'università dei predestinati". Ma non è già così, signor ministro? Non abbiamo già una università di predestinati, siano essi i professori iperprotetti o gli studenti destinati al lavoro con titoli di studio senza un mercato?
Se la proposta Zingales è troppo rivoluzionaria, le propongo una alternativa meno dirompente, ma ugualmente efficace: passi all’attuazione del sistema di valutazione della ricerca condotta lo scorso anno in via sperimentale dal Civr e condizioni una quota significativa, ad esempio un terzo, dei trasferimenti dello Stato alle università alla qualità della ricerca che vi si produce. Gli atenei che producono più ricerca di elevato livello - e solo quelli - ottengono più fondi delle altre; poiché la ricerca di qualità è condotta da ricercatori di talento, gli atenei competeranno per attrarre i migliori. I ricercatori di talento hanno un interesse prioritario a mantenere e accrescere il loro "capitale umano" e sanno che uno dei modi per farlo è attrarre altri ricercatori di elevata qualità con cui interagire e lavorare. In modo del tutto naturale useranno il merito, e si batteranno perché tutti lo facciano, come unico criterio di selezione dei professori, avviando il processo di ripresa delle università.
Come vede la ricetta è semplice: una regola ferrea di allocazione dei fondi ai migliori; libertà di decisione alle università. Non c'è bisogno di Grandi Riforme, i cui beneficiari finora sono stati soprattutto i loro estensori.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

La proposta mi sembra stupida. Avendo lavorato per anni nel campo della ricerca, so che misurare la "qualita' della ricerca" sia impossibile. Supponi che io pubblichi una qualsiasi cosa. Supponi che la qualsiasi cosa sia gia' stata pubblicata 3 anni fa dall'universita' di New Dehli. Supponi che non sia affatto una novita', ma io mi sono preso i fondi e ho prodotto il lavoro. Il burocrate statale che andra' a misurare la "bonta' della ricerca" che cosa fara'? Sara' un "esperto in tutto quanto e certe volte di piu'?"

C'e' un modo per misurare la qualita' della ricerca: il numero di brevetti internazionali. Immediatamente si alzeranno i cultori della "ricerca pura", scandalizzati, solo perche' chiamano ricerca pura la ricerca inutile. Anche un "inutilissimo" acceleratore di particelle produce, fra strumenti di misura e parti costruttive, migliaia di brevetti. Solo che non si capisce che "ricerca pura" in italia sia sinonimo di "ricerca inutile". La ricerca e' utile per definizione, o non e' ricerca. Non esistono ricerche che non producano, direttamente o meno, alcun brevetto.

Ma per ottenere questo occorrerebbe cambiare troppe teste, davvero.

Uriel

restodelmondo ha detto...

uriel: temo ci siano campi in cui il tuo criterio e' buono e altri in cui e' inapplicabile - lettere antiche, per dirne uno. E poi, chi mi garantisce che i brevetti non siano brevetti di sbuccia-mela-elettrico? (Per dire la prima cosa inutile che mi viene in mente.) E siamo da capo...

Mi sembrerebbe interessante piuttosto qualche criterio legato agli scambi dell'ateneo con l'esterno: quanti studenti chiedono di andare a studiare in quell'universita', da dove vengono e dove vanno i docenti e i ricercatori che ci passano... Ma dato il trend di universita' sotto casa - e in cui tutti sono ammessi - che impera in Italia, la vedo assai bigia.

restodelmondo ha detto...

uriel: temo ci siano campi in cui il tuo criterio e' buono e altri in cui e' inapplicabile - lettere antiche, per dirne uno. E poi, chi mi garantisce che i brevetti non siano brevetti di sbuccia-mela-elettrico? (Per dire la prima cosa inutile che mi viene in mente.) E siamo da capo...

Mi sembrerebbe interessante piuttosto qualche criterio legato agli scambi dell'ateneo con l'esterno: quanti studenti chiedono di andare a studiare in quell'universita', da dove vengono e dove vanno i docenti e i ricercatori che ci passano... Ma dato il trend di universita' sotto casa - e in cui tutti sono ammessi - che impera in Italia, la vedo assai bigia.

Anonimo ha detto...

L'idea di giudicare le universita' a seconda di quanto siano ricercate mi sembra assurdo. Napoli e Bari hanno facolta' scientifiche di primo ordine (Matematica a Napoli e' una gran facolta' ove studiare) ma gli studenti del sud sfiancano i genitori di sacrifici pur di studiare al "pOlitecnico di"...quando spesso la qualita' dello studio e' enormemente inferiore. Mi spiace, ma se mio figlio dovesse voler fare matematica, Napoli viene prima di Milano. Ma per la massa, Bocconi e' meglio di Ferdinando. Con un criterio simile premieresti solo il provincialissimo giudizio dei genitori degli iscritti, o degli iscritti stessi. L Bocconi non ha niente di speciale oltre ad un ottimo branding, e viene superata (almeno, in alcune materie scientifiche ove la Bocconi vanta di essere imbattibile) da Napoli e Bologna.

Per quanto riguarda l'inapplicabilita' del criterio, tieni conto che alle facolta' umanistiche dello stesso tipo di Lettere antiche arrivano gli spiccioli, la stragrande quantita' dei soldi vengono sprecati dalla ricerca nelle facolta' "scientifiche". Ho curato per anni il settore educational&research dell'emilia, ho visto scene da accapponare la pelle.

Se nelle facolta' scientifiche si iniziasse a badare ai brevetti, probabilmente rimarrebbero soldi anche per il resto. Anche perche' per usare un criterio simile dovresti trasformare le universita' cosi' tanto da cambiare davvero tutto. Tanto per farti capire, il professore medio nelle facolta' scientifiche e' spesso piu' ignorante dei suoi stessi allievi al momento della laurea. A loro ha dato UNA materia, l'unica che ormai conosce e ricorda. L'allievo ne ricorda ancora una trentina al momento della laurea.

Rimango della mia opinione. :)