Su Repubblica di oggi Maurizio Bettini lo ricorda:
"La giacca del professor Vernant"
Salì sulla pedana dove stava la cattedra, tirò a sé la sedia, ma non si
sedette. Il pubblico senese - numerosissimo: come si poteva mancare a una
conferenza del grande Jean-Pierre Vernant? - lo guardava con ammirazione, ma
anche con un po' di sconcerto. Perché restava in piedi? Indugiò ancora
qualche secondo, poi scosse la testa e finalmente si sedette. Vernant
parlava mal volentieri da seduto. Forse fu per questo che, prima di iniziare
la sua conferenza, volle almeno togliersi la giacca; ma non avendo dove
appoggiarla, la lasciò scivolare tranquillamente a terra, davanti a tutti.
Poi cominciò a parlare, a braccio, come sempre faceva. A mia conoscenza,
Vernant è stato l'unico ellenista che, quando parlava, pareva veramente
ispirato da una musa, come l'aedo omerico. Salvo che poteva lasciar
scivolare la giacca per terra con una semplicità inaudita. Beniamino
Placido, che assisteva alla conferenza, il giorno dopo scrisse che quel
gesto gli aveva ricordato un film con Jean Gabin.
Vernant se n'è andato all'età di novantadue anni, ma avremmo voluto averlo
con noi ancora a lungo. Nel mondo degli studi classici Jipé, come lo
chiamavano i suoi amici, costituiva una presenza fondamentale, il vuoto che
lascia non potrà essere colmato da nessuno. L'oratore dalla meravigliosa
semplicità, l'aedo omerico che sapeva raccontare il mito greco anche ai suoi
nipoti e bisnipoti (come ha fatto in due libri pubblicati in Italia da
Einaudi), il saggista elegante, dallo stile trasparente come il cristallo,
al mondo greco in realtà non c'era arrivato lungo la via della letteratura.
La sua "agrégation" l'aveva infatti ottenuta in filosofia, nel lontano 1937,
e i suoi primi studi furono dedicati a Diderot. Nel 1940 c'era stato poi
l'incontro con Ignace Meyerson, che lo aveva coinvolto nel suo appassionante
progetto di psicologia storica, e nel 1948 quello, altrettanto fondamentale,
con Louis Gernet, grande studioso di diritto greco e fondatore
dell'antropologia storica. Ma qualsiasi autobiografia intellettuale di
Vernant, anche la più sintetica, non può ignorare l' altra grande
componente, o per meglio dire passione, della sua vita: la politica.
Iscritto al PCF dal 1932 al 1970, il giovane Vernant aveva svolto un ruolo
rilevante nella resistenza antinazista a Toulouse, e la politica ha
continuato ad appassionarlo lungo l'intera esistenza.
Ci si accorge così che lo studioso il quale, a partire dagli anni sessanta,
ha in qualche modo rivoluzionato il mondo degli studi classici, e di quelli
greci in particolare, era in realtà un filosofo che aveva attraversato le
scienze sociali, e un "resistente" innamorato della politica. Alla Grecia
Vernant ci era arrivato per una scelta più che matura, ecco perché,
probabilmente, è stato capace di cambiarne l'immagine. Il fatto è che Jipé
ha trascorso la sua vita ad "attraversare le frontiere", come suona il
titolo del suo ultimo libro. Ha insegnato a farlo anche a molti di noi e, ci
auguriamo, anche a tanti giovani che debbono ancora affacciarsi
all'orizzonte degli studi classici.
Guardo la pila dei suoi libri, ammucchiati sulla scrivania. Li ho messi lì
per aiutare la memoria, certo, ma anche per un ultimo omaggio a un uomo che
abbiamo molto amato. Non è stato forse lui ad insegnarci che, per i Greci,
l'impalpabile psyché -l'anima del defunto che continua ad aleggiare
nell'Ade - corrisponde a ciò che essi chiamavano kolossòs, la rigida stele
di pietra che garantisce il passaggio fra i due mondi, quello di sopra e
quello di sotto? Di lui ci resta un kolossòs di libri, uno più bello
dell'altro. Mito e pensiero presso i Greci, Le origini del pensiero greco...
Da studenti li leggevamo quasi di nascosto, nelle Università di allora
Vernant era considerato abbastanza eretico, e soprattutto poco attendibile.
Non è un grecista! si sussurrava, e a volte questo veniva perfino gridato ad
alta voce. Un po' come Noam Chomski che non sapeva, dicevano alcuni, se non
l'inglese, e per questo non poteva essere un buon linguista. Ma noi i libri
di Vernant li leggevamo lo stesso. A volte penso che i giovani abbiano un
dio (naturalmente greco) che li aiuta a scegliere i libri giusti, e che
questo dio non possa che essere Eros, pungente dio della passione e
dell'amore: quello a cui Vernant ha dedicato uno dei suoi saggi più belli.
Guardo ancora il kolossòs dei suoi libri. La morte negli occhi, Mito e
tragedia... Altri li ha scritti assieme a compagni di strada come Marcel
Detienne e Pierre Vidal-Naquet, ad allievi diventati nel tempo amici e
collaboratori, come Françoise Frontisi. A questo punto, quando i libri
ricominciano a farsi persone, ad assumere volti e voci, qualsiasi
classicista non può fare a meno di pensare ad un luogo, quello in cui molti
si sono recati, nel corso del tempo, come per un pellegrinaggio o un rito di
passaggio.
Erano poche stanze in Rue Monsieur Le Prince, a Parigi, dove Vernant aveva
fondato il 'Centre des recherches comparées sur le societés anciennes". Un
istituto diventato rapidamente celebre, un punto di riferimento. A chi si
meravigliava della sproporzione fra la semplicità dei locali, e la fama
raggiunta dal "Centre", veniva risposto che, al piano di sopra, abitava
niente meno che il grande Greimas. Dopo di che non restava che allargare le
braccia, rassegnati. La vera grandezza si raggiunge nei luoghi semplici,
oltre che nei gesti semplici: come una giacca scivolata a terra.
Hat tip: Nico Narsi su it.cultura.classica
11 gennaio 2007
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3 commenti:
Buon De-lurking Day
grazie! ho scoperto da te che oggi c'era questa cosa :-)
anch'io ho scritto un post su Vernant. lo puoi leggere qui: http://www.alibionline.it/index.php?option=com_content&task=view&id=473&Itemid=55
ciao; Saul
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