13 marzo 2007

Ritorni

Il pensiero morale del settecento è uno dei ciclici ritorni dei miei studi. Per una ragione o per l’altra finisco sempre per tornarci sopra.

Sugli inglesi e sugli scozzesi, in primo luogo; oggi ho passato la mia giornata su questi due, e domani si replica.

Shaftesbury scrive il Saggio sulla virtù e il merito prima di avere vent’anni; sostiene che l’uomo distingue, in maniera immediata e intuitiva, il bene dal male con quello che definisce moral sense, che considera il vero fondamento delle passioni umane.

Influenzato dal platonismo di Cambridge, intende il sentimento morale come innato, anche se suscettibile di modifica dall’ambiente e dall’educazione; e, come per ogni bravo platonico, anche per Shaftesbury chi cede al male è in primo luogo un infelice, perché non vive in armonia.

Sulla medesima linea, ma con sensibilità più vicina all’empirismo lockeano si muove Hutcheson, che ha però da parte sua l’esigenza di demolire le riflessioni di Mandeville (se non avete ancora letto La favola delle api correte a farlo); dapprima scrive il Saggio sull’origine delle nostre idee di bellezza e di virtù, poi il Sistema di filosofia morale, testi sui quali si formeranno, tra gli altri, David Hume e Adam Smith.

2 commenti:

nullo ha detto...

ma dai, sei filosofa pure tu?

io non solo so filosofo, ma pure scozzese! ;-)

non prendertela per il mio uso della parola 'filosofo', la sto usando all'inglese, senza alcuna ambizione...

nel merito: quel "moral sense" di cui parli mi sembra tanto il "good sense" gramsciano, opposto al "common sense"; cosi, giusto perche' dicono in giro che sei marzista...

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

filosofa si.
e non dare retta a tutto quello che senti dire di me in giro :-)