03 agosto 2008

Derrida sulla filosofia

Jacques Derrida, Il diritto alla filosofia da un punto di vista cosmopolitico, Il Melangolo, 2003, pp. 54, euro 10,00, ISBN 88-7018-489-7;

Quello che pubblica il Melangolo, con una articolata prefazione di Simone Regazzoni, è il testo di una conferenza che Derrida tiene per l’Unesco nel maggio del 1991. Nelle intenzioni esplicite di Derrida è il richiamo al testo kantiano del 1784, Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico per sottolineare come alcune istituzioni internazionali che sono nate dopo la Seconda Guerra Mondiale hanno alle spalle una lunga storia nel pensiero filosofico; come scrive Derrida “sono atti e archivi filosofici, produzioni e prodotti filosofici, non solo perché i concetti che le legittimano hanno una storia filosofica assegnabile [...] ma perché [...] tali istituzioni implicano la condivisione di una cultura e di un linguaggio filosofici, che impegnano quindi a rendere possibile, in primo luogo attraverso l’educazione, l’accesso a questo linguaggio e a questa cultura” (pag. 27).

Il testo, breve e intenso, è un mirabile esempio della capacità decostruttiva del pensiero di Derrida, che rilancia la sfida della filosofia in una articolazione raffinata tra libertà e necessità della filosofia, che emerge, come viene sottolineato nell’introduzione, dall’imprescindibile legame tra la riflessione filosofica e il luogo in essa viene inscritta. Da un lato vi è la necessità per la filosofia del legame con i luoghi istituzionali e dall’altro per quegli stessi luoghi l’esigenza di mettere in gioco il problema del diritto alla filosofia.

Quel luogo è per Derrida l’Unesco che ritiene che sia “il luogo privilegiato” per esporre la questione poiché è il luogo in cui gli stati si sono impegnati “filosoficamente” a favore di “una certa filosofia del diritto, dei diritti dell’uomo, della storia universale” (pag. 28). Il passo successivo che Derrida compie è la risposta alla domanda intorno al cosmopolitismo della filosofia e della ricerca filosofica; si tratta di comprendere la necessità del dispiegamento internazionale del diritto alla filosofia, della dimensione sovranazionale della responsabilità che deve essere assunta. Compito del filosofo è reinventare la filosofia, e l’esistenza di una istituzione come l’Unesco, e il suo dipartimento di filosofia, il fatto che l’Unesco sia, e il fatto che il suo modo d’essere sia preliminarmente filosofico, fa sì che il sistema di valori non solo consenta l’esistenza dei filosofi ma ne prescriva anche il compito, e il compito è quello dell’interrogazione intorno alla situazione che si è creata. A questo punto dell’analisi il richiamo a Kant (anche contro l’idealismo schellinghiano sulla presenza in ogni luogo della filosofia) si fa più presente e puntuale per introdurre la possibilità di superare proprio Kant. E il superamento di Kant può avvenire solo liberandosi del filo conduttore greco-europeo che egli assume, ma allo stesso tempo, evitando di rimanere invischiati – e quindi di opporre – il secco dualismo dell’ultimo secolo tra eurocentrismo e antieurocentrismo perchè esso si configura dice Derrida come coloniale e missionario; la filosofia, secondo il pensiero del filosofo francese, deve essere sempre pensata come “altra via”, è “altra via”. Sotto il nome greco, sotto la memoria europea, ribadisce Derrida, la filosofia è sempre stata “bastarda” e “innestata”. Qui i contorni della questione intorno al cosmopolitismo della filosofia cominciano a essere, allo stesso tempo, più netti e più sfumati: la filosofia si configura come ibrida e poliglotta, e ha come momento di origine della sua identità l’”esposizione all’altro”; come scrive Regazzoni nell’introduzione: “l’”a venire” della filosofia, e il suo diritto; l’avvenire del diritto e della filosofia, legati a un certo diritto alla decostruzione dell’idea di filosofia e delle istituzioni che a partire da essa si strutturano, sono affidate alle inedite forme della sua (re)invenzione dell’altro, in tutte le possibili accezioni di questo sintagma, in cui l’altro non è né il non filosofico, né l’antifilosofico, ma un altro in cui la filosofia non saprebbe forse più riconoscersi, un altro che il nome di filosofia non saprebbe e non potrebbe forse più nominare” (pag. 17).

E qui, e non altrove, si pone il problema del futuro della filosofia intrecciato con il tema della democrazia a venire, e che Derrida riassume nelle pagine finali, dandone i titoli.

In primo luogo viene sottolineata la necessità di appropriarsi dei modelli che la filosofia ha assunto nell’ultimo secolo con l’opposizione tra filosofia continentale e filosofia analitica; viene poi l’esigenza di superare i limiti che vengono posti alla ricerca filosofica, sacrificata alle esigenze dell’economia e dalla diversa valutazione che viene data ad altri ambiti di ricerca (la scienza applicata, la tecnologia).

La conclusione del discorso di Derrida torna a Kant, per sottolineare come il suo scritto sia anche un trattato intorno all’educazione, e ci offre un brano del filosofo tedesco sul quale riflettere, brano che apre la via all’esito del diritto alla filosofia.

2 commenti:

Luca Tassinari ha detto...

Di' la verità: stavi scrivendo 'na roba di lavoro e non ti sei accorta che la stavi scrivendo nel blog :-)

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

luca: peggio! non avendo tempo per scrivere sul blog ho pensato bene di infierire anche sui miei tre lettori riciclando una recensione :-D