Qualche sera fa mi sono lasciata trascinare a una cena di conclusione di un anno scolastico che non ho vissuto. Ho lasciato la scuola senza alcun rimpianto, avevo saputo fin dal principio (2001) che era un'esperienza passeggera; che dovevo fare ma che non era il mio lavoro.
E un po' mi manca quel contatto quotidiano con il mondo al quale non ero abituata. Quando ho cominciato a insegnare in un liceo la cosa ha letteralmente stravolto la mia vita. Prima di quel momento le mie abitudini era abbastanza consolidate e prevedevano la frequentazione di ben poche persone e certamente non tutti i giorni. Fortunatamente le mie giornate sono tornate – quasi – come quelle di allora: studio, scrittura, biblioteca (poco, non riesco a concentrarmi), poche uscite – se si escludono quelle in giardino; insomma il vicino più vicino sta quasi a un chilometro di distanza, e spesso passo giornate intere scambiando qualche parola solo con il postino (se non ha fretta.)
Non amo vedere molta gente e una giornata che preveda l'incontro con più di due persone è immediatamente classificata come “faticosa”. Fanno eccezione solo le lezioni all'università, che peraltro non prevede un orario particolarmente pesante.
Per farla breve, martedì sera mi sono ritrovata a questa cena. I miei ex colleghi sono decisamente divertenti, diciamo che i più antipatici si sono scremati da soli nel corso degli anni e nei momenti conviviali si defilano; ma non è della cena in particolare che voglio parlare, ma della signora che avete già incontrato qualche post fa. E' in partenza, non appena finiti gli esami di stato parte per un posto più o meno come questo, (quello esatto non sono riuscita a ricordarmelo) ormai è il secondo anno; ne parla sempre con entusiasmo, del lavoro che fa da quelli parti – scuola e assistenza per i più piccoli, almeno a quanto ho capito; le luccicano gli occhi quando parla della fame, della miseria, della paura. Si anima, si sente viva, si sente utile – dice lei. Stavolta, a differenza dell'altra, non ho taciuto; sarà che l'argomento mi toccava di più, sarà che il vino a tavola era buono, e mi sono ritrovata ad attaccarla (un po' me ne pento, non si dovrebbe infierire su una quasi cinquantenne in crisi esistenziale e single per sfiga). E così le ho chiesto perché per sentirsi viva deve andare (a spese sue tra l'altro) a vedere le sofferenze degli altri; ho continuato esortandola a interrogarsi sulle motivazioni che le facevano pensare di uscire dalla depressione andando a vedere orfani, mutilati, ammalati; le ho chiesto che volontariato era quello, che nasceva solo dalla considerazione che qui non è niente per nessuno. (ché mica pensava di andare volontaria qualche anno fa).
Insomma che persona è questa, che deve andare di persona a vedere le sofferenze altrui per risollevarsi il morale? E, ovviamente, che tipo di persone sono quelle che plaudono – da casa – a queste iniziative?
Io non riesco nemmeno a vedere dieci minuti di filmati sui campi profughi senza vomitare anche l'anima, e mi trovo a cena con persone che amano sguazzarci dentro.
Se poi qualcuno di voi è nella stessa situazione ecco un link utile.
7 commenti:
attenta, il vino a volte fa brutti scherzi!
e comunque il modo migliore per non avere alcun senso di colpa il giorno dopo è sbronzarsi dalle dita dei piedi alla punta dei capelli; con un po' di fortuna il giorno dopo non ricorderai nulla, neppure l'eventuale rimorso!
buonanotte.
Tranquillo, ne abuso veramente di rado :-)
tra l'altro, l'alcol,anche mi minime quantità mi deconcentra e devo consegnare un saggio entro fine mese. il mio solo rimorso in effetti, è dovuto alla consapevolezza che per qualche minuto ho rovinato l'atmosfera conviviale della cena. A me questa gente che per sentirsi viva deve andare a vedere di persona gente che soffre mi fa lo stesso effetto della pornografia con gli animali. mi repelle la sola idea.
Essere vivi, o credere di esserlo, concludere la propria esistenza cercando, (ovunque) o, invece continuare sempre nel credere che esodo, cammino, strade percorribili, (comunioni finte e vere) fughe (per essere inseguiti, naturalmente)non siano la stessa faccia dello stesso euro... e ancora... rimanere infantili, precocemente consumati dalla (propria) capacità di analisi. Il vuoto (capisco) e a due passi, ma girare (infinito) attorno ad una ipotetica, voragine (non esiste alcuna voragine è finzione infantile)di solito costruisce solo specifici, punti ristretti di visione. Costruisce fredda analisi ma solo di particolari costruiti (e ricostruiti). Altra cosa è comprendere, misura umana, le differenze, cercando di conciliare (nonostante noi, i nostri stupri quotidiani subiti e fatti) le intelligenze. Ho detto conciliare? sto parlando di percorsi? Per un pò, si crede che, rimanere allo stesso punto (terra promessa), sia l'ultimo atto (profondo) ineluttabile. M.
Anche se fatto per motivi poco nobili o, direttamente, ignobili, il volontariato è pur sempre fare qualcosa per chi sta male perciò, al di là di tutto, chi se ne frega dell'ignobilità e ben venga qualsiasi cosa che possà aiutare. IMHO..
S: che dire? avrai anche ragione;
ma nietzsche ha scritto pagine illuminanti per comprendere da dove nasce "l'altruismo". ed è questo nello specifico che mi interessa.
tra l'altro, fra un scelta di vita e una vacanza particolare, da voyeur della sofferenza, io ci vedo un mare di lontananza.
ipazia:
questo indirizzo porta ad un blog estremamente interessante:
http://www.bloggers.it/giorgiakornisch/
questa ragazza fa dell'aiuto agli altri la sua professione e pure missione.
mi sono soffermato ieri notte a leggere a ritroso i suoi post fino ad arrivare a Marzo 2006; ci sono ancora persone che aiutano mettendoci il cuore.
netsos: ne sono assolutamente certa. ma non parlavo in generale in questo post, mi riferivo a una persona precisa.
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