E’ ormai dalla fine degli anni 80 che internet, web, chat, e poi forum, gruppi di discussione e blog si prendono una porzione importante del mio tempo-vita. Così una decina di anni fa ho preso la decisione che – visto che ci “sprecavo” concentrazione ed energie – tanto valeva trasformare il tutto in qualcosa di produttivo. La prima occasione me la diede Pier Aldo Rovatti che decise di dedicare un numero monografico di autaut al mondo di Internet e così venne pubblicato il mio primo intervento, che aveva come oggetto le chat. A seguito di quello mi vennero chiesti un paio di interventi online su alcuni server francesi di controinformazione (oramai temo sepolti dall’oblio). Qualche anno dopo fu la volta dei gruppi di discussione. L'Università La Sapienza di Roma decise di dedicare una giornata di studi a Internet e mi chiese (grazie Marco d'Itri) una relazione sugli ng.
Ma veniamo al titolo del post.
In questo momento - diciamo da un paio d'anni - il mio interesse principale sono i diari online. Mi divertono e mi appassionano. Al punto che varie volte ho tentato di aprirne uno (stavolta mi pare con più successo delle altre); ma restano i blog altrui quelli più intriganti e costruttivi dal punto di vista della riflessione.
Ultimamente sono i blog che ho definito altrove [in un testo che verrà pubblicato credo prima dell'estate] "blog di inform/azione" con un gioco di parole dal sapore - vagamente - ironico/heideggeriano.
I blog di inform/azione (concedetemi una spiegazione ad usum delphini) sono quelli che si presentano in forma "mista" come diari personali e allo stesso tempo come veicolo di informazioni e commenti che non trovano nell’elaborato e maniacale spazio esistenziale del tenutario del blog (1) collocazione.
Mi spiego meglio. L’orizzonte del blog è, per la sua natura di diario che non può essere stravolta del tutto, un orizzonte autoreferenziale. Sul blog si descrive la propria giornata, si commenta un film, si narra la fine di un amore, si pubblicano le foto del gatto e della mamma. A tutto questo si aggiunge la possibilità di parlare con gli amici, di conoscere persone nuove, di elaborare una serie di rapporti che possono anche prendere consistenza nel mondo reale. Per tutti questi motivi – a cui se ne aggiungono altri non meno consistenti ma per i quali vi rimando alla edizione cartacea – quando uscirà – di queste riflessioni (che, vi avviso, saranno molto più “togate”) è del tutto irreale per esempio, pensare di mantenere un’identità virtuale totalmente disgiunta dall’identità reale (2).
Già questo tentativo, destinato inevitabilmente al fallimento, almeno nel corso del tempo – e tenete presente che esiste davvero un’altra percezione dello spazio e del tempo nella realtà digitale (3) – ci palesa un aspetto particolare dei tenutari di questo tipo di blog: una percezione distorta delle possibilità della rete.
La rete sarebbe un “luogo” che per la sua particolare concezione offre la possibilità di inventarsi un ruolo, una personalità, un compito.
E’ vero fino a un certo punto.
Se avete voglia di lasciare un commento al vetriolo (ma anche penalmente perseguibile) sicuramente avete la possibilità di farlo senza grossi rischi di essere scoperti. Un fake, una connessione al volo, un nick mai utilizzato prima e mai più utilizzato dopo. L’equivalente insomma, di suonare un campanello e scappare, se proprio proprio siete un po’ furbi e veloci non vi prenderanno mai.
Ma se cominciate a tenere un blog, ci scrivete con cadenza abbastanza regolare – diciamo un paio di volte alla settimana – e portate avanti questo diario per qualche anno sperando di non essere individuati qualcosa nella vostra mente non funziona.
E questo qualcosa rientra nella patologia, diciamo pure che avete una percezione gravemente alterata della realtà.
E’ come mettersi due volte alla settimana a suonare i campanelli della stessa strada.
Pensare che nessuno vi colga sul fatto o che il vostro passaggio non venga collegato al suono è alquanto irreale.
Di fatto, è la stessa psicologia – consentitemi l’esempio un po’ banale – che anima i serial killer nei film e nei romanzi; a un certo punto l’investigatore se ne esce sempre con la stessa frase: “Vuole attirare l’attenzione, spera che qualcuno lo fermi”.
Il meccanismo del blogger inform/ativo è la stessa. Si pone al centro della sua realtà, cerca di coinvolgere in questo centro il maggior numero di persone possibile e definisce il suo punto di vista sul reale come il “reale punto di vista”.
E si addentra via via in commenti e affermazioni sempre più razionalmente insostenibili, sempre più avviluppate e contorte su una realtà che ormai è certo di essere l’unico (l’unica) a comprendere. La lente del blog ha preso il sopravvento. Ormai non è più uno strumento ironico e duttile per aprire un’altra finestra dell’io e dell’identità, ma è divenuto il luogo di un’(altra) affermazione di sé fallita. Lo specchio del tempo e delle possibilità perdute.
(1. continua).
(1) Il richiamo al bordello è consapevolmente voluto e (probabilmente ci torneremo sopra)
(2) Vedi l’articolo sulle chat in autaut (non so se sia online però)
(3) IT/OT Off Reality in Katastrofè, marzo 2006
Mi spiego meglio. L’orizzonte del blog è, per la sua natura di diario che non può essere stravolta del tutto, un orizzonte autoreferenziale. Sul blog si descrive la propria giornata, si commenta un film, si narra la fine di un amore, si pubblicano le foto del gatto e della mamma. A tutto questo si aggiunge la possibilità di parlare con gli amici, di conoscere persone nuove, di elaborare una serie di rapporti che possono anche prendere consistenza nel mondo reale. Per tutti questi motivi – a cui se ne aggiungono altri non meno consistenti ma per i quali vi rimando alla edizione cartacea – quando uscirà – di queste riflessioni (che, vi avviso, saranno molto più “togate”) è del tutto irreale per esempio, pensare di mantenere un’identità virtuale totalmente disgiunta dall’identità reale (2).
Già questo tentativo, destinato inevitabilmente al fallimento, almeno nel corso del tempo – e tenete presente che esiste davvero un’altra percezione dello spazio e del tempo nella realtà digitale (3) – ci palesa un aspetto particolare dei tenutari di questo tipo di blog: una percezione distorta delle possibilità della rete.
La rete sarebbe un “luogo” che per la sua particolare concezione offre la possibilità di inventarsi un ruolo, una personalità, un compito.
E’ vero fino a un certo punto.
Se avete voglia di lasciare un commento al vetriolo (ma anche penalmente perseguibile) sicuramente avete la possibilità di farlo senza grossi rischi di essere scoperti. Un fake, una connessione al volo, un nick mai utilizzato prima e mai più utilizzato dopo. L’equivalente insomma, di suonare un campanello e scappare, se proprio proprio siete un po’ furbi e veloci non vi prenderanno mai.
Ma se cominciate a tenere un blog, ci scrivete con cadenza abbastanza regolare – diciamo un paio di volte alla settimana – e portate avanti questo diario per qualche anno sperando di non essere individuati qualcosa nella vostra mente non funziona.
E questo qualcosa rientra nella patologia, diciamo pure che avete una percezione gravemente alterata della realtà.
E’ come mettersi due volte alla settimana a suonare i campanelli della stessa strada.
Pensare che nessuno vi colga sul fatto o che il vostro passaggio non venga collegato al suono è alquanto irreale.
Di fatto, è la stessa psicologia – consentitemi l’esempio un po’ banale – che anima i serial killer nei film e nei romanzi; a un certo punto l’investigatore se ne esce sempre con la stessa frase: “Vuole attirare l’attenzione, spera che qualcuno lo fermi”.
Il meccanismo del blogger inform/ativo è la stessa. Si pone al centro della sua realtà, cerca di coinvolgere in questo centro il maggior numero di persone possibile e definisce il suo punto di vista sul reale come il “reale punto di vista”.
E si addentra via via in commenti e affermazioni sempre più razionalmente insostenibili, sempre più avviluppate e contorte su una realtà che ormai è certo di essere l’unico (l’unica) a comprendere. La lente del blog ha preso il sopravvento. Ormai non è più uno strumento ironico e duttile per aprire un’altra finestra dell’io e dell’identità, ma è divenuto il luogo di un’(altra) affermazione di sé fallita. Lo specchio del tempo e delle possibilità perdute.
(1. continua).
(1) Il richiamo al bordello è consapevolmente voluto e (probabilmente ci torneremo sopra)
(2) Vedi l’articolo sulle chat in autaut (non so se sia online però)
(3) IT/OT Off Reality in Katastrofè, marzo 2006