27 dicembre 2007

Tommaso Campanella

Tommaso Campanella di solito va pari passo con Giordano Bruno e a me la cosa suscita un po' di fastidio. Certo, sono entrambi vittime del Tribunale dell'Inquisizione, martiri del pensiero, - così ci raccontano - ma Bruno finisce bruciato in Campo de' Fiori e Campanella muore con una pensione del re di Francia.

Ecco, non mi pare esattamente la stessa cosa.

Campanella nasce esattamente vent'anni dopo Bruno, nel 1568, ed entra in un convento domenicano in Calabria nel 1582, lo molla nel 1589, a ventun anni, per andare a Napoli, accusato di eresia; viene messo in galera, processato e condannato.

Bruno aveva fatto più o meno la stessa cosa. Nato nel 1548, entra nel convento domenicano di Napoli nel 1563 per andarsene nel 1576, con l'accusa di eresia.

E qui finiscono le somiglianze, almeno secondo me.

Nel 1592 Campanella è a Padova - manca Bruno, che se ne è andato da sei mesi, ma conosce Galileo. Anche in quella città Campanella fa casino e buona parte del 1593 ( e dell'anno successivo) la passa in galera, dove si diletta a scrivere alcune opere. Guardacaso dedicate al papa in carica, Clemente VIII (un personaggio che vi raccomando, tra l'altro...).

Nel 1594 dalle carceri padovane Campanella viene trasferito nelle carceri dell'Inquisizione a Roma. L'accusa? La solita: eresia, più la stesura di un libello definito "empio". E che fa in galera Campanella? Scrive un trattato sul mondo e assegna al papato il ruolo di monarchia universale; così, per puro caso. E per evitare di essere equivocato scrive un altro trattato in cui consiglia ai governanti italiani di non contrastare la monarchia spagnola. (che sempre per caso in quel momento era la più stretta alleata del papato). L'anno successivo viene scarcerato, anche per opera di un protettore influente, Lelio Orsini, un potentissimo aristocratico napoletano, al quale le sue opere - soprattutto le ultime due - erano piaciute assai.

Nello stesso anno anche Bruno è ospitato nelle inquisitorie galere romane, ma lui non esce (chissà perchè).

Nel 1597 Campanella è a Napoli, dove approfondisce la conoscenza delle teorie copernicane insieme a Nicolantonio Stigliola, che aveva conosciuto in galera. Dopodiché si sposta nella sua terra d'origine, la Calabria, dove tra il 1598 e il 1599 organizza una bella rivolta antispagnola (alla faccia del trattato scritto tre anni prima) proponendosi come il messia di una nuova età dell'oro che secondo calcoli astrologici doveva cominciare giusto giusto nel 1600. Contro gli spagnoli Campanella cerca di usare la piccola nobiltà del sud e un'alleanza con i Turchi (che mandano qualche nave, ma troppe poche e troppo tardi). La rivolta finisce nel nulla e un po' di domenicani ribelli e un po' (tanti) contadini coinvolti finiscono nelle galere di Napoli.
Ci torna anche Campanella in galera, e nel febbraio del 1600 - mentre Bruno viene bruciato vivo sulla pubblica piazza, lui simula la pazzia e la scampa un'altra volta.

In galera a Napoli comincia la stesura de La città del sole. La prima versione è in italiano, e resta inedita fino al 1904, mentre la versione latina Campanella la pubblica in Germania nel 1623 e poi a Parigi nel 1637. Come tutte le utopie anche questa non sfugge alla regola: finchè si leggono tutto bene, ma se uno immagina di viverci la prima cosa che gli viene in mente è prendere a bastonate l'autore se solo si avvicina all'agone politico per mettere in atto i suoi propositi. Se quindi Campanella intendeva ribellarsi agli spagnoli per fondare la sua totalitaria repubblica ventisette anni di galera non mi paiono nemmeno una cosa esagerata. Comuque sia stata raccontata, la prigionia non deve essere stata un'esperienza così traumatica se Campanella può scrivere tutta una serie di opere che poi verranno pubblicate - soprattutto in Francia - dopo la sua liberazione. Per altro il nostro non disdegna affatto di scrivere e modificare a seconda del momento (e del protettore): la terza edizione della Civitas solis, quella del 1637, quella pubblicata in Francia, viene adattata e rivista in funzione delle ambizioni di Richelieu (si, proprio il cardinale dei tre moschiettieri).

Sempre in galera, nel 1620, Campanella scrive un altro trattato, dal titolo Monarchia di Spagna, nel quale enuncia la profezia che la monarchia spagnola diverrà l'unica monarchia a governare l'universo mondo, sarà cattolica e avrà al suo vertice il papa. (evidentemente vent'anni di galera l'avevano fatto riflettere sul tentativo di ribellarsi agli spagnoli).

Nonostante questo, gli ingrati spagnoli non se lo filano e allora si vede costretto a rivolgersi di nuovo al papa, che adesso è Urbano VIII, quello della condanna a Galileo per intenderci.
Però proprio agli spagnoli Campanella deve la liberazione nel 1626. E per tutta gratitudine si schiera con il papa.
Che il papa sia anche un acerrimo nemico degli spagnoli per Tommaso non è un problema. Il suo problema era uscire di galera.

Non male per Campanella no? Bruno bruciato, Galileo condannato e lui fa le pozioni per il papa (e riesce a passare pure per un martire del pensiero).

Infatti in un testo pubblicato in Francia nel 1629 Campanella descrive con dovizia di particolari le magie compiute insieme al papa, convinto - il papa - che sarebbe morto a causa di alcune eclissi e degli spagnoli (non chiedetemi come). Lo scopo del domenicano era comunque quello di convertire il papato, che era per lui sempre e comunque il centro del potere, all'uso delle pratiche magiche. E non ci riesce. Però per un po' gode a Roma di grandi favori e di un certa influenza politica. Poi pare che Urbano VIII si renda conto che la magia di Campanella sia una solenne fregatura e il successo svanisce. Nel 1634 con una certa fretta Tommaso molla Roma per rifugiarsi a Parigi, con l'aiuto dell'ambasciatore francese nello Stato Pontificio. Stavolta la molla che lo aiuta è presentarsi ai francesi come un baluardo teorico contro la tirannide spagnola (certo che sti spagnoli con Campanella hanno avuto la loro santa pazienza eh?). A Parigi si muove come un missionario, cercando di strappare alla perfida fede protestante quante più persone possibile, e in alcune lettere sostiene di fare proseliti anche tra gli inglesi. Per la nascita dell'erede al trono di Francia, nel 1638, non esita a scrivere poemi sull'infante, destinato, a parer suo, a governare l'universo mondo. Insomma prima gli spagnoli, poi il papa, poi i francesi, per Campanella c'è sempre qualcuno destinato a diventare imperatore dell'universo.
Naturalmente con il suo aiuto, e naturalmente dietro compenso.
L'anno successivo, convinto di essere vicino alla morte per via di un'eclissi (qualcosa con le eclissi Campanella l'aveva sempre) si chiude nella sua cella in un convento domenicano di Parigi per eseguire una qualche pratica magica che l'aiutasse a sopravvivere.
Evidentemente qualcosa non funziona come dovrebbe perché qualche mese dopo muore.
Pare il suo funerale sia stata un'apoteosi di nobili e di dotti. Che pare strano perché in realtà chi conta a Parigi in quegli anni non se lo fila per nulla, e quando può lo evita.

Mersenne per esempio, il gesuita che in quegli anni - tra le altre cose - tiene le fila dell'Europa intellettuale, corrispondendo con tutti quelli che contano qualcosa, Cartesio per primo, riceve Campanella al suo arrivo a Parigi, perchè gli viene raccomandato da Peiresc. Dopo aver ricevuto il domenicano Mersenne scrive a Peiresc e gli palesa le sue opinioni. Vale la pena riportarle:

"Ho visto il reverendo padre Campanella per circa tre ore e per la seconda volta. Mi son reso conto che egli non può insegnarci nulla in fatto di scienze. Mi era stato detto che egli è molto preparato in musica ma quando l'ho interpellato mi sono accorto che non sa neppure cosa sia un'ottava; tuttavia possiede una buona memoria e una fertile immaginazione."

Che più o meno tradotto secondo me vuol dire: "ah peiresc, ma che ti è saltato in mente di mandarmi sto buzzurro ignorante, proprio perché sei tu l'ho visto due volte, non una, cosamai mi fossi sbagliato la prima. Ma è capace solo di riportare le parole di altri e mi pare pure un po' fissato."

Mi chiedo quante altre persone raccomandate da Peiresc abbia ricevuto Mersenne. Sarei proprio curiosa di saperlo.

Comunque, per non sbagliare Mersenne scrive a Cartesio, che sta in Olanda, e gli chiede se ha voglia di conoscere Campanella. E Cartesio più o meno gli risponde che ne sa abbastanza da essere certo che non ha nessuna voglia di conoscerlo.


Puntate precedenti:
Pico della Mirandola

11 commenti:

Elwe Ewing ha detto...

Carinissima l'esposizione, esilaranti i commenti. Anche oggi ho imparato qualcosa. :-)
(arrivo qui dal blog di .mau.)

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

grazie.

e a mau per per il link.

maus ha detto...

Mersenne era un gran fico.
Ha "scoperto" (inventato?) la formula per trovare i numeri che portano il suo nome e -per molto tempo- è sembrato che questi fossero tutti primi (i numeri).
Credo che la demolizione della formula (cioè il primo numero di mersenne non primo) risalga agli anni '70 (del secolo 20) o giù di lì...

Anonimo ha detto...

Carino! :-)

@maus: Direi un po' prima del 1970... Il quarto numero di Mersenne è 15, che di certo non è primo. :-)

Del resto, anche il sesto è divisibile per 3 e 7.

maus ha detto...

@quaqo: ops... quello di cui parlavo è 2^67 - 1, scoperto "a mano" nel XX secolo

Anonimo ha detto...

@maus: Eh ma quella fu una gran brutta figuraccia per Mersenne...

Egli infatti congetturò che i numeri di Mersenne del tipo 2^n-1 con n primo avevano una buona possibilità di risultare anch'essi primi.

Mersenne stilò una lista di n minori di 257 per cui l'n-esimo numero di Mersenne sarebbe stato primo.

Tra questi numeri v'era il 67.

Evidentemente si sbagliava: la dimostrazione che il 67esimo numero di Mersenne non è primo risale alla seconda metà del 1800.

La computazione dei fattori primi che lo compongono è invece, come giustamente hai riportato, del 1900 (prima degli anni 70 però).

Palmiro Pangloss ha detto...

Ipazia, a me Bruno non e' che stia proprio simpaticissimo. Insomma, facendosi bruciare e' diventato un simbolo potente per ogni laicoanticlericalemangiapreti, e gliene sono grato, ma da cio' che ho letto era un vero rompicoglioni capacissimo di far incazzare i preti, anche non cattolici in una sorta di ecumenismo negativo - e per questo lo apprezzo - ma certo non un laicoanticlericalemangiapreti. cio' che si ricava dalla sua vicenda e' IMHVO che la chiesa cattolica della controriforma - pur truce, rozza, bigotta e sanguinaria - aveva in realta' una gran pazienza: Bruno per farsi bruciare ha fatto di tutto, ma proprio di tutto - ad un certo punto si stava per far bruciare dai calvinisti purche' qualcuno lo bruciasse, anche contro la volonta del tribunale che - fin quasi alla fine - appare quella di salvarlo con qualche severa punizione che lo lasciasse in vita. Non dico che abbiano fatto bene a fare Bellarmino santo, tuttaltro, ma insomma a sopportare Bruno almeno beato era giusto farlo.

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

pangloss: arriverà anche un post dedicato a bruno prima o poi...:-D

Palmiro Pangloss ha detto...

@Ipazia: Scusami per il commento sconnesso, e grazie in anticipo per il post su Bruno che sara' interessante come al solito. Mi piacerebbe pero' che mi confortassi anche sommariamente nelle mie opinioni.

ipazia.dioniso at gmail.com ha detto...

pangloss: che per sopportare bruno fosse necessaria una certa pazienza è fuori da ogni dubbio. e in effetti pensavo a un post per confortare un po' meno sommariamente le tue opinioni :-)

maus ha detto...

@quaqo: andavo a memoria, credo di averlo letto su un libro di m. gardner.
ricordo pero che l'esposizione (della dimostrazione della non "primizia" di 2^67-1) fu fatta senza proferire verbo (alla Royal Society?) da uno che si alzò, ando alla lavagna e fece la moltiplicazione con il gessetto.
gli spettatori si alzarono e applaudirono.
per scomporre il numero aveva impiegato le domeniche di 2 anni.
storie di eroismo matematico